4-6-2002

 

LITERATURA INFANTIL EM ITÁLIA E NO MUNDO

 

 

Viaggio tra i classici della letteratura infantile
a cura di Maria Antonietta Filipponio

Recentemente il Corriere della Sera Web (www.corriere.it) ha proposto un sondaggio sul personaggio preferito della letteratura infantile; a sorpresa sono balzati ai primissimi posti della classifica i classici della letteratura, sbaragliando il libro di Harry Potter. 
Hanno vinto I Tre Moschettieri, seguito da Sandokan; in terza posizione si attesta Harry Potter, quindi, con notevole distacco Pinocchio, Pippi Calzelunghe e Mowgli.

Un risultato che ci permette di constatare come i classici della letteratura per ragazzi abbiano lasciato un segno profondissimo tra i giovani di molte generazioni, diventando fedeli compagni di avventure anche per i nostri figli. 
Ma quali sono i classici della letteratura per ragazzi?
Iniziamo questo viaggio, pescando nel bagaglio dei ricordi che hanno accompagnato la nostra infanzia. Io ricordo ancora le copertine dei libri di avventure per ragazzi che venivano regalati a mio fratello maggiore; ero affascinata da quelle storie che riguardavano le imprese di grandi eroi. Più grandicella, arrivarono anche per me i libri da leggere, i romanzi per giovinette, che divoravo in un battibaleno, sacrificando anche molte ore di sonno. 
Ma ora come possiamo fare a trasmettere lo stesso amore per la lettura ai nostri figli, distratti come sono da tanti stimoli esterni? 

Le Origini

Fedro, Jean De La Fontaine, Charles Perrault

La letteratura indirizzata ai bambini incominciò a nascere verso la fine del 1700.
Prima di questa data la lettura veniva praticata esclusivamente sui libri degli adulti, generalmente la Bibbia, il Catechismo, le Vite dei Santi, i Libri delle buone maniere e di regole morali. 

Ma un genere letterario che non conobbe mai stanchezza fu la favola che ebbe origine dal greco Esopo (VII-VI a.c.) e ripreso in seguito dal poeta latino Fedro (I sec. d.c.); restò vitale per tutto il Medioevo e il Rinascimento, ma nel 1600 fu rinnovato e portato al successo dal poeta francese Jean de La Fontaine (1621-1695).

La favola

Il lupo e l'agnello di Jean de La Fontaine
La Favola che segue è una lezione
Che il forte ha sempre la miglior ragione


Un dì nell'acqua chiara d'un ruscello
Bevea cheto un Agnello,
quand'ecco sbuca un lupo maledetto,
che non mangiava forse da tre dì, che pien di rabbia grida: - E chi ti ha detto
d'intorbidar la fonte mia così?...


Contemporaneamente, un altro autore francese del Seicento, Charles Perrault (1628 -1703), stava raccogliendo e rielaborando antichi materiali fiabeschi, tramandati oralmente; un lavoro che portò alla creazioni di fiabe immortali come Cappuccetto Rosso, La Bella Addormentata nel bosco, Cenerentola, Il Gatto con gli Stivali e Pelle d'asino. 
Nel XVIII secolo, si diffusero su larga scala anche racconti, romanzi e libri istruttivi.

Il Settecento

1719 - Robinson Crusoe di Daniel Defoe 
1726 - I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift
1785 - Il Barone di Munchhausen di Rudolf Raspe

Il primo contatto che il bambino stabiliva con il libro avveniva nelle biblioteche di casa. I rampolli di famiglie ricche e nobili si accostavano alle opere degli autori classici attraverso la lettura di Omero, Dante, Ariosto, Tasso, Metastasio e di letterati contemporanei. Un tipo di letteratura certamente non adatta all'infanzia.

In Europa: esisteva, tuttavia, in Europa una diffusa circolazione di libretti popolari, grazie all'opera di mercanti o ambulanti che offrivano la propria merce nelle pubbliche piazze, alle fiere, nelle osterie dei villaggi o dinanzi al sagrato delle chiese. 
Vendevano non propriamente libri per bambini, ma opuscoletti, calendari, almanacchi, raccontini relativi a tradizionali eroi popolari come Scaramouche o Gargantua, che raggiungevano lettori di ogni età; le numerose riduzioni di romanzi di avventure per adulti come Robinson Crusoe dell'inglese Daniel Defoe (1719), I viaggi di Gulliver (1726) del grande scrittore satirico Jonathan Swift e lo straordinario Barone di Munchhausen del tedesco Rudolf Raspe del 1786 si possono considerare i primi romanzi che stuzzicarono la fantasia dei bambini. 

Le avventure del Barone di Munchhausen 
Il barone di Munchhausen era un personaggio realmente esistito: si chiamava Karl Friederick Hieronymus barone di Munchhausen ed era un ufficiale di cavalleria tedesco. 
Si divertiva a raccontare le sue mirabolanti avventure ai suoi amici.

" Su questo lago (sorpresa!) c'erano alcune dozzine di anatre selvatiche. Proprio quello che mi ci voleva, perché per l'appunto, anche quel giorno avevo invitato a pranzo un sacco di amici e conoscenti. 
"Disgraziatamente avevo nel fucile la mia ultima carica. E per di più le anatre nuotavano molto sparse sulla superficie del lago. Come potevo fare per ammazzarle tutte quante con un colpo solo?.
"Idea!. Mi venne in mente che nel carniere dovevo averci un pezzo di lardo che mi era avanzato dalla mia prima colazione della mattina. Mi ci voleva, però, anche uno spago bello lungo. 
Altra idea fantastica!….".


In Italia, però, queste opere, vennero tradotti ed adattati con notevole ritardo rispetto agli altri Paesi europei, anche perché non in sintonia con l'impostazione seriosa che cominciava a caratterizzare i libri per bambini. 
La nascente letteratura per l'infanzia era tutta permeata da un dichiarato intento moralistico: essa doveva insegnare "l'educazione alle buone maniere e alla virtù della generosità, dell'obbedienza, del rispetto dell'ordine sociale e delle sue gerarchie".

Il primo Ottocento

1812 - Fiabe dei fratelli Grimm
1820 - Ivanhoe di Walter Scott
1832-1872 Fiabe di Hans Christian Andersen
1837 - Le avventure di Oliver Twist di Charles Dickens
1844 - I tre Moschettieri di Alexandre Dumas Padre
1845 - Il Conte di Montecristo di A. Dumas 
1850 - David Copperfield di Charles Dickens

La prima metà dell'Ottocento fu ricca di capolavori.
Da un lato, gli autori si rivolsero al passato e riscrissero le favole tramandate oralmente da generazioni. 

In Europa: così i famosi fratelli Grimm curarono nel 1812 una raccolta poderosa di tutto il materiale fiabesco della tradizione germanica.
Nel contempo, Hans Christian Andersen (1805-1875), in Danimarca tra il 1835 e il 1872, stava pubblicando le sue famose fiabe, tutt'ora amate come Il Brutto Anatroccolo, La Sirenetta, Il Soldatino di piombo.

La Fiaba

Rosaspina (La bella addormentata nel bosco) dei fratelli Grimm
C'era una volta un re e una regina che ogni giorno dicevano: "Ah se avessimo un bambino"!. Ma il bambino non veniva mai. Un giorno, mentre la regina faceva il bagno, ecco che un gambero saltò fuori dall'acqua e le disse: "Il tuo desiderio sarà esaudito: darai alla luce una bambina". 
La profezia del gambero si avverò e la regina partorì una bimba così bella che il re non stava più nella pelle dalla gioia e ordinò una grande festa. Non invitò soltanto i suoi parenti, amici e conoscenti, ma anche le fate perché fossero benevole e propizie alla neonata….


Dall'altro lato, si sviluppò il romanzo per ragazzi che univa, con una miscela perfetta, avventura, buoni sentimenti, valori etici e morali, patriottismo, secondo l'ideale pedagogico dell'epoca. 
Gli alfieri di questo nuovo filone avventuroso furono tre e ognuno di loro fu iniziatore di un tipo particolare di genere letterario. Walter Scott (1771-1832) con il fortunato romanzo Ivanhoe, considerato il padre del romanzo storico di ambiente scozzese

Charles Dickens (1812-1870) che inaugurò il nuovo romanzo sociale, scrivendo con successo Oliver Twist (1837-1838) e David Copperfield (1850). 

E il grande Alexandre Dumas che rese immortali I Tre Moschettieri nel 1844 e, subito dopo, il Conte di Montecristo nel 1845. 
Edmondo De Amicis, autore di Cuore, deve il proprio nome a sua madre, grande estimatrice del Conte Edmond Dantes, protagonista del libro di Dumas. 
Con quest'ultimo ebbe inizio il romanzo di cappa e spada.

Il romanzo di cappa e spada

I Tre Moschettieri di A. Dumas

Furioso d'Artagnan aveva attraversato l'anticamera con tre balzi e si lanciava sullo scalone pensando di scendere i gradini a quattro a quattro, quando, trascinato dalla sua foga, andò ad urtare a testa bassa un moschettiere (Athos) che usciva dall'appartamento del signor di Tréville da una porta di disimpegno; urtandolo alla spalla, gli fece mandare un grido o piuttosto un urlo.
"Scusatemi - disse d'Artagnan cercando di riprendere la sua corsa -, scusatemi, ma ho molta fretta". 
Non aveva ancora disceso il primo scalino che un pugno di ferro lo afferrò per la sciarpa e lo costrinse a fermarsi…


In Italia: pietra miliare nello sviluppo della letteratura infantile italiana è il libro di Luigi Alessandro Parravicini (1800-1880), Giannetto, del 1837 che ottenne un enorme successo e fu adottato come libro di testo per molto tempo e in varie parti d'Italia. 
Il romanzo, un eroe proprio concentrato di buone intenzioni, raccontava le vicende di un bambino modello, tutte ispirate ai valori della tradizione ottocentesca e risorgimentale: Dio, Patria e Famiglia.. 
Come possiamo notare in Italia è difficile conciliare la letteratura di formazione e quella di divertimento, con un'unica eccezione: Le avventure di Pinocchio.

Ma questo ci porta già alla seconda parte dell'Ottocento.

 

Il Secondo Ottocento

In Italia, però, queste opere, vennero tradotti ed adattati con notevole ritardo rispetto agli altri Paesi europei, anche perché non in sintonia con l'impostazione seriosa che cominciava a caratterizzare i libri per bambini. 
La nascente letteratura per l'infanzia era tutta permeata da un dichiarato intento moralistico: essa doveva insegnare "l'educazione alle buone maniere e alla virtù della generosità, dell'obbedienza, del rispetto dell'ordine sociale e delle sue gerarchie".

1851 - Moby Dick di Hermann Melville
1852 - La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher-Stowe
1865 - Alice nel paese delle meraviglie di Carroll Lewis
1865 - Il viaggio al centro della terra di Jules Verne
1868 - Piccole donne di Louise Mary Alcott
1869 -  Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne
1876 - Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain 
1883 -  L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson 
1894 - Il libro della giungla di Rudyard Kipling

In Europa e in America: nella seconda metà del secolo si affacciarono nel panorama letterario un gruppo di personalità di grande livello e maturità artistica che diedero un contributo decisivo al successo della letteratura infantile: Jules Verne, Louisa Mary Alcott, Mark Twain, Robert Louis Stevenson, Rudyard Kipling e Carroll Lewis. 
Fu un momento magico, perché nel giro di pochi anni, uscirono moltissimi romanzi.

Si consolidarono quelle caratteristiche proprie della letteratura infantile: la fantasia con il romanzo di invenzione per eccellenza Alice nel paese delle meraviglie di Carroll Lewis, l'avventura unita alla fantascienza con Verne, l'avventura tinta di esotico con Kipling, il senso dell'umorismo e dell'intreccio narrativo con Twain.. 
E i personaggi creati dalla penna degli scrittori si fissarono indelebilmente nel cuore dei piccoli lettori. 
Mark Twain stesso racconterà in un suo libro che: "Quasi tutte le avventure narrate in questo libro sono accadute realmente: una o due sono esperienze della mia vita; il resto, di ragazzi miei compagni di scuola. 
Huck Finn è preso dal vero; Tom Sawyer pure, ma non da un originale unico: è la combinazione dei tratti di tre ragazzi che ho conosciuto".
Sono anni frenetici, molto prolifici, come se si fossero spalancate le porte della fantasia.
L'eccezionale produzione dell'inglese Robert Louis Stevenson (L'Isola del tesoro del 1883, la Freccia nera del 1888) precede di pochi anni quella del grande Rudyard Kipling (il Libro della giungla del 1894-95, Capitani coraggiosi del 1897 e Kim 1901), premio Nobel per la letteratura nel 1907; nello stesso periodo di tempo raggiungeva il successo la scrittrice americana Louisa Mary Alcott che con la sua opera principale Piccole donne creò personaggi femminili reali e moderni, con cui le ragazze incominciarono a confrontarsi. 
Ma accanto a carriere artistiche lunghe e prolifiche ebbero un seguito di pubblico anche singoli casi letterari come: Incompreso (1869) dell'inglese Florence Montgomery (1843-1923) e Il piccolo Lord (1886) di Frances Hodgson Burnett (1849-1924), mentre in Svizzera venne stampato Heidi (1881) di Johanna Spyri (1827-1901); quasi contemporaneamente. in Francia, uscì Senza Famiglia (1878) di Hector Malot (1830-1907) e nel 1894 Pel di carota di Jules Renard (1864-1910). 

Il romanzo per giovinette

Piccole donne di Louisa Mary Alcott

"Tu sei abbastanza grande per smettere gli scherzi da ragazzi e per comportarti meglio, Josephine. Non aveva grande importanza quando eri bambina, ma ora che sei così alta e ti annodi i capelli, dovresti ricordare di essere una signorina". 
"Non sono una signorina e se annodarsi i capelli mi costringe a diventarlo, porterò due code fino a venti anni - esclamò Jo - togliendosi la reticella dal capo e sciogliendo la folta capigliatura castana…". 


In Italia 
1881 - Pinocchio di Carlo Collodi
1886 - Cuore di Edmondo De Amicis
1900 - Le tigri di Mompracem di Emilio Salgari


Prima dell'Unità d'Italia era impossibile parlare di storia della letteratura infantile dal momento che non esisteva ancora una nazione. 
La sviluppo dell'editoria per l'infanzia avvenne proprio con l'unificazione e dovette rispondere all'esigenza basilare di creare una coscienza. 

Carlo Collodi (1826-1890)
"C'era una volta…..- Un re! - diranno subito I miei piccoli lettori. - No ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno".

Solo Carlo Collodi (in realtà si chiamava Carlo Lorenzini) cominciò a ribellarsi alla tendenza pedagogica della letteratura, a cambiare le carte in tavola, invertendo la direzione a favore della fantasia: nel 1876, creò la figura di Giannettino, un bambino vero, birichino, diverso da quelli a cui ci aveva abituato la letteratura pedagogica fino a quel momento, e cioè seri, giudiziosi, studiosi, un po' saputelli.
Ma siamo a pochi anni dalla uscita di Pinocchio con il quale nasce in Italia la letteratura infantile.
Il capolavoro di Collodi uscì a puntate su Il Giornale per i bambini il 7 luglio 1881, come Storie di un burattino, titolo poi cambiato in Le avventure di Pinocchio nel 1883. 
La decisione di pubblicare a puntate una fiaba per bambini come un moderno romanzo d'appendice fu molto felice ed azzeccata. 
Questa scelta editoriale portò così tanto successo che Pinocchio fu stampato in Italia senza interruzione (tranne il 1914), in edizioni sempre diverse, accompagnato dalle immagini create da molti importanti illustratori. 
All'estero venne tradotto in più di cento lingue. Una curiosità: a Venezia fu data alle stampe, nel 1925, una preziosa edizione in armeno. 

Edmondo De Amicis (1846-1908)
"Coretti fece un passo avanti e strinse la mano al re. La carrozza passò, la folla irruppe e ci divise, perdemmo di vista Coretti padre. Ma fu un momento, subito lo ritrovammo, ansante, con gli occhi umidi, che chiamava per nome il figliuolo, tenendo la mano in alto. Il figliuolo si slanciò verso di lui, ed egli gridò: "Qua, piccino, che ho ancora calda la mano"! E gli passò la mano intorno al viso, dicendo: "Questa è una carezza del re".

Un'altra grandissima affermazione internazionale fu quella ottenuta nel 1886 da Edmondo De Amicis con
Cuore (*) che, fino al 1923, vendette un milione di copie.
Il libro nacque come un sussidiario scolastico ed ebbe una accoglienza clamorosa da parte del pubblico infantile sia per la sua formula di diario, scritto da un bambino, sia per la sua narrazione corale, formata da vari episodi, che, seppure lunga, permetteva una rapida lettura. 
E Cuore ha commosso non solo gli scolari dell'Italia umbertina, ma tante generazioni di italiani. Il romanzo di De Amicis puntava direttamente al cuore, presentando storie patetiche e dolorose, perché servissero da esempio.

Emilio Salgari (1863-1911)
"Era un uomo di statura alta , stupendamente sviluppato, con una testa bellissima quantunque la pelle fosse assai abbronzata, con una capigliatura folta, ricciuta, nera come l'ala di un corvo, che gli cadeva sulle spalle e due occhi che pareva avessero dentro il fuoco….".

Proprio a questo punto entra in scena un grande scrittore di avventure: Emilio Salgari (1862-1911), personaggio dalla vita molto discussa e difficile, con un finale addirittura tragico, ma autore molto prolifico che creò favolosi romanzi ed incredibili atmosfere, pur non essendosi mai allontanato dalla sua città. 
Anche lui, come Collodi e De Amicis, ebbe grande successo all'estero, con Sandokan, nei vari romanzi che lo vedono protagonista: I misteri della giungla nera (1895), Le tigri di Mompracem (1900) e Sandokan alla riscossa del 1906. 
Si apre con questo autore una distinzione tra i prodotti indirizzati ai bambini e quelli dedicati agli adolescenti.

La letteratura rosa 

Nella neonata letteratura per l'infanzia un posto importante venne occupato da una scrittrice che lavorò con passione alla nascita dei giornali per ragazzi, la vera novità di quei tempi. 
Ida Baccini (1850-1911) viene ricordata soprattutto per un libro: Le memorie di un pulcino che ebbe un'enorme popolarità. Ma il libro uscì dapprima anonimo, perché l'autrice era giovane - aveva solo venticinque anni - e in più donna. 
Ma ci sono altre autrici da ricordare che diedero vita ad una produzione didattico-morale per giovinette, come Anna Vertua Gentile (1850-1926) e Sofia Bisi Albini (1856-1919), oppure Virginia Treves Tedeschi (1849-1916), in arte Cordelia, e per continuare Emma Parodi (1850-1918), famosa per le sue fiabe. 
Questa letteratura in rosa fu molto importante sia perché cercò di farsi spazio in un settore nel quale spiccavano poche protagoniste femminili, sia perché all'interno di un solido conformismo borghese si delineò una sorta di velata emancipazione ante litteram, forse spinta dall'esempio letterario della Alcott che, molto presto tradotta in Italia, "dette uno scossone all'immaginario femminile proposto alle ragazze". 

Il Novecento

1900 Il mago di Oz di Frank Baum

1900 Tre uomini a zonzo di Jerome K. Jerome

1903 Il richiamo della foresta di Jack London

1906 Peter Pan di James Mattew Barrie 

In Europa e in America
Per quanto riguarda la letteratura straniera marca il secolo un romanzo particolare, fatto di fantasia e di umorismo, come Il mago di Oz dell'americano Lyman Frank Baum (1856-1919), seguito nel 1901 dall'ultimo grande successo di Kipling: Kim.
Ma intanto si stava facendo strada uno scrittore americano che, con Il richiamo della foresta del 1903 e Zanna Bianca del 1906, ottenne una grande popolarità: Jack London (1876-1916).
Contemporaneamente, lo scozzese James Matthew Barrie (1860-1937) nel 1906 imventò Peter Pan, uno dei personaggi più riusciti. 
Infine, ricordiamo che nel 1912 fu inventato dal tedesco Waldemar Bonsels (1881-1952) un curioso personaggio, che tanto successo ebbe tra le generazioni dei bambini degli anni sessanta e settanta: l'ape Maja. 

Peter Pan di James Mattew Barrie
"… Jane ora è anche lei una comune donna adulta e ha una bambina di nome Margaret.
Ogni primavera all'epoca delle pulizie di Pasqua, a meno che nn se ne dimentichi, Peter viene a prendere Margaret e la conduce all'Isolachenonc'é.
Qui ella gli narra tutto quanto sa di lui ed egli la ascolta serio e attento.
Quando Margaret crescerà avrà una bambina che a sua volta diventerà la mamma di Peter.
E così via via avverrà, sempre, finchè I bambini saranno spensierati, innocenti e senza cuore"... 


In Italia
L'avventura rappresentava il genere che più appassionava i piccoli lettori; in Italia molti scrittori continuarono a proporre il filone del genere avventuroso, seguendo le orme dei grandi autori come Salgari o Verne; altri invece ripercorsero il solco del verismo e del naturalismo, presentando una infanzia popolare, povera e sfruttata, secondo la lezione di Verga o di Capuana. Sono romanzi, che nonostante il grande successo riscosso, in alcuni casi anche all'estero, non ebbero seguito, per la mancanza di novità che potessero lasciare un segno di cambiamento rispetto al passato.

Yambo e Vamba

Uno dei più originali scrittori per l'infanzia fu Yambo, pseudonimo di Enrico Novelli, figlio del grande attore Ermete, scrittore molto prolifico. Inizia come epigono di Salgari ma in seguito, con uno stile molto vivace e divertente, arriva alla creazioni di personaggi ed situazioni incredibili. (Le avventure di Ciuffettino 1902).
Ancora più importante fu il ruolo di Vamba
(**), alias Luigi Bertelli, il creatore di Giannino Stoppani protagonista del Giornalino di Gian Burrasca; sue sono anche le geniali illustrazioni che caratterizzarono maggiormente il personaggio. 
Il romanzo esce in 55 puntate sul Giornalino della Domenica tra il 1907 e il 1908 e poi in volume nel 1912. 
Vamba viene considerato fra i primi narratori per l'infanzia puri, tra quelli che fin dall'inizio della loro carriera si qualificarono come autori per l'infanzia. 
Ciononostante la sua opera si distaccava dal leitmotiv che aveva pervaso tutta la letteratura per l'infanzia: il compromesso tra educazione e ricreazione. 
È un racconto umoristico: il protagonista racconta in prima persona le sue birichinate, che prendono di mira tutti gli adulti, genitori compresi. 
Per la prima volta un libro per ragazzi si schiera dalla loro parte. 

IL Giornalino di Gian Burrasca di Vamba
"…l'unica cosa divertente che abbia la bambola di mia sorella Maria è il movimento degli occhi che quando è ritta stanno aperti e quando la si mette a giacere si chiudono. 
Io ho voluto capacitarmi di questa cosa e le ho fatto un buco nella testa dal quale ho potuto capire che il movimento era regolato da un meccanismo interno molto facile a capirsi. Infatti l'ho smontato e ho spiegato a Maria come stavano le cose, ed ella si era interessata alla spiegazione, ma dopo, quando ha visto che gli occhi della bambola erano rimasti storti e non si chiudevano più, si è messa a piangere come se le fosse accaduta una disgrazia sul serio. Come sono sciocche le bambine!…". 


D'ora in avanti, però, in Italia e all'estero, sino ai nostri giorni, scenderanno in campo soprattutto scrittori specializzati come Gianni Rodari (1920-1980), considerato un classico della letteratura infantile.
A tutti gli scrittori per l'infanzia dobbiamo la creazione di figure immortali come Gulliver, d'Artagnan, Alice, Pinocchio, Gian Burrasca, Peter Pan che hanno reso grande la storia della letteratura infantile, che hanno fatto la storia della fantasia di noi bambini. 
Sta a noi ora aiutare e guidare i nostri bambini sulla strada della fantasia.
Ma come dice Giovanni Raboni sulle pagine del Corriere della Sera: "Sono tutti, lo sappiamo, libri scritti pensando a lettori giovani o giovanissimi; e sono nello stesso tempo, per fortuna e delizia dei lettori di ogni età, degli inesauribili capolavori".

 

C U O R E

Versão integral na INTERNET

 

 

Le nouvel observateur

 

Semaine du jeudi 24 janvier 2002 - n°1942 - Livres

Les raisons d’un succès

Avez-vous du cœur?

   

 

 

Cent quinze ans après sa parution en Italie, «le Livre Cœur», l’increvable best-seller d’Edmondo De Amicis, se refait une jeunesse en France dans une nouvelle édition

L’action commence en 1881. L’unité italienne a vingt ans. Rome elle-même ne fait réellement partie du royaume que depuis 1871. «Cuore», qui veut dire cœur, censé être le journal de classe tenu par un écolier, commence avec la rentrée, se termine aux grandes vacances, et il se trouve que la fin de l’année scolaire, en 1882, coïncide avec la mort de Garibaldi, le premier héros italien, le père du Risorgimento, de la Résurrection.
L’auteur de «Cuore», Edmondo De Amicis, a grandi avec le Risorgimento. Il a 40 ans. A la proclamation de l’Italie, il en avait 15; 17 quand il s’engage dans l’armée qui doit parfaire la réunification: prendre Venise aux Autrichiens, reprendre Rome au pape soutenu par les Français. A la proclamation de Rome capitale, de retour dans son foyer, à Turin, il devient journaliste, écrivain. En 1875, il se marie, avec une institutrice, ce qui n’est pas un hasard, ils auront deux fils.
Dans «Cuore», journal modèle d’une classe modèle de l’école primaire, tous les enfants d’Italie sont représentés. Les Italiens avaient été des sujets, il s’agissait, avec «Cuore», de contribuer à en faire des citoyens.
C’est cucul comme c’est pas permis. Tous les bons sentiments y passent. C’est la parade de la vertu. On rit, mais pas longtemps. «Cuore» est tellement bien écrit, et traduit, qu’on n’écoute plus trop l’esprit critique. De Amicis croit vraiment que l’éducation est la priorité, il croit vraiment que l’instituteur exerce un sacerdoce, il veut vraiment que les jeunes Italiens constituent une nation dont ils pourront être fiers.

«Le Livre Cœur» fait partie de la conscience italienne. Enrico et ses petits camarades l’ont autant marquée que le gredin Pinocchio. Il faut le connaître si on s’intéresse tant soit peu à l’Italie, et aux Italiens. Cette édition nouvelle, avec sa postface copieuse, l’intelligence de ses notes, donne à sa lecture son plein intérêt.
«Le Livre Cœur», par Edmondo De Amicis, traduit par un collectif réuni autour de Gilles Pécout et suivi de deux essais d’Umberto Eco, Editions Rue d’Ulm (45, rue d’Ulm, 75005 Paris), 494p., 22 euros.

 

DELFEIL DE TON

IL GIORNALE DI VINCENZA

Domenica 11 Novembre 2001

I motivi dell’attualità di «Cuore

Il Novecento era ancora molto giovane e già Montale chiamava il cuore "scordato strumento": un vecchio violino capace ormai solo di rendere suoni stonati, da abbandonare definitivamente in qualche polverosa soffitta. Ne aveva strappate abbastanza di calde, commosse, forse anche liberatorie lacrime soprattutto quando, mentre il secolo vecchio si avviava alla fine (1886), scritto con l'iniziale maiuscola ("Cuore"), era diventato il titolo di un libro dedicato ai ragazzini di quella scuola elementare che da poco una legge aveva reso (si fa per dire!) obbligatoria. Poi di rifiuti del sentimentalismo lacrimoso tutto il Novecento fino a questa nostra poco rosea alba del Duemila ne ha proclamati moltissimi e quasi tutti abbiamo ritenuto obbligatorio sentire come infinitamente più simpatico quel discolo senza cuore che è Pinocchio rispetto ai piccoli scrivani fiorentini e alle piccole vedette lombarde che di cuore ne hanno da vendere e ce ne hanno riempito le tasche. Eppure? Eppure, al di là di ogni ufficiale archiviazione, o per operazioni di rivalutazione controcorrente o col pretesto di bonarie o dissacranti parodie, "Cuore", al pari del meno controverso "Pinocchio", non è mai tramontato: ed eccoci qui, nel 2001, divisi tra un "Cuore" televisivo (stasera su Canale 5 la prima di sei puntate) e l'attesa sul grande schermo del quasi ultimato "Pinocchio" di Benigni. Ci sarà lo zampino del nostro eterno bisogno di opposizioni binarie (Bruneri o Canella, Bartali o Coppi, Motta o Alemagna, Verona Hellas o Chievo Verona..?); certo resta l'inevitabile tentazione di chiedersi quale può essere l'"attualità" non di "Pinocchio" (la trasgressività libera e fantasiosa del burattino prima che diventi ragazzino per bene è eterna), ma di "Cuore": perché troppe cose nel diario scolastico del ragazzo Enrico inventato da De Amicis sembrano- nonostante il recente ma forse già superato ritorno di "buonismo"- lontane da noi anni luce. Per esempio, per rendere credibile il maestro Perboni che è scapolo e ama tanto i bambini, ai quali dice "Io non ho famiglia, la mia famiglia siete voi", gli sceneggiatori della fiction televisiva gli hanno inventato una moglie pazza e una passione dichiarata per la maestrina dalla penna rossa. Altrimenti, chi lo salverebbe oggi da un sospetto di pedofilia? Scherzi a parte, è forse nella contraddittorietà del nostro presente che stanno le pieghe entro le quali, magari per via di paradosso, si possono trovare spunti di attualità nel libro che conta ormai centoquindici anni di vita. Ne indichiamo due o tre.
Oggi l'Italia è patria unita come vuole Ciampi o aggregato di identità diverse insofferenti del vincolo unitario come vuole Bossi? Se c'è verità nella prima opzione (oggi dovrebbe essercene un po' di più di quando scriveva De Amicis, a unificazione da poco e poco compattamente raggiunta), certamente "Cuore" è attuale. Non solo per quel patriottismo che pervade le pagine del diario a partire dall'abbraccio "del figliuolo del Piemonte al figliuolo della Calabria" registrato già al quarto giorno di scuola, non solo per il comune denominatore di bontà e di eroismo che nei "racconti mensili" caratterizza vedette lombarde, scrivani fiorentini, tamburini sardi eccetera, ma anche per un forse meno vistoso ma non meno significativo segnale linguistico. Si sa che c'è una linea più o meno gotica, variamente zigzagante a sud del Po, che spacca l'Italia tra fondamentalisti del passato prossimo (al Nord) e fondamentalisti del passato remoto (a Sud). Ebbene: non è uno straordinario sforzo di patriottica integrazione linguistica il fatto che il nordista Enrico apra il suo diario scrivendo "Mia madre mi condusse questa mattina", con un eccesso di zelo passatoremotista? (Trattandosi di "questa mattina", sarebbe stato più corretto dire "mi ha condotto").
Lo scolaro Franti è il punto più nero di "Cuore": un cattivo senza alcuna giustificazione, senza alcuna possibile redenzione, l'incarnazione del male assoluto. Inattuale, se la modernità tende sempre a considerare le umiliazioni e le offese che stanno dietro i comportamenti malvagi. E Umberto Eco infatti, all'inizio degli anni Sessanta, riscattò il malvagio ragazzo in un memorabile "Elogio di Franti". Ma, attenzione: se oggi, per rassegnarci a fare la guerra contro il terrorismo di bin Laden, dobbiamo credere che esista un male assoluto, Franti non ha più bisogno dell'elogio-riscatto di Eco, è attuale così come De Amicis ce l'ha consegnato. In mezzo a tanto buonismo di "Cuore" il cattivismo irredimibile di Franti potrebbe anche essere considerato un amaro ma salutare insegnamento di realismo.
Certo presentare un ragazzo cattivo senza scavare le cause nascoste (condizioni sociali, eventuali traumi infantili) che l'hanno reso tale non è politically correct. Ma il fatto è che oggi è attuale anche la stanchezza del politicamente corretto: altrimenti, come si spiegherebbe il successo della politicamente scorrettissima "Versione di Barney" di Mordecai Richler? E allora ecco quella che ci sembra la più nascosta attualità di "Cuore". Sappiamo bene che in questo libro la sventura, il dolore, il lutto sono presenti in dosi massicce come espedienti per suscitare la commozione e per convincere i giovani lettori che l'etica si fonda sul sacrificio; ma altrettanto bene sappiamo anche che il lutto, il sacrificio, il sangue versato costituiscono un tema ossessivo, un inconscio sadismo, una buia e malata attrazione dell'ispirazione deamicisiana. E' politicamente (in questo caso si legga "pedagogicamente") corretta questa componente? Evidentemente no; ma siccome è attuale snobbare, appunto, il politicamente corretto, ecco un altro paradossale motivo dell'attualità di "Cuore".

 

IL Giornalino di Gian Burrasca di Vamba

 Versão integral na INTERNET 

Giannino furioso ou, Le Journal d'un fripon
Vamba


Une évidence vous a réveillée ce matin : Noël tombe cette année le 25 décembre et il ne vous reste plus que trois misérables jours pour acheter vos cadeaux… Depuis plusieurs mois vous remettez à plus tard ces achats fastidieux, cette course à la consommation frénétique au milieu d'une masse humaine qui n'a comme vous qu'un seul objectif : trouver LE cadeau original, intelligent, pas cher et que-de-toutes-façons-c'est-l'intention-qui-compte.
Mais voilà, il ne vous reste plus que 72 heures pour habiller le pied du sapin…
Pas de panique ! Gardez votre calme ! J'ai ce qu'il vous faut.

C'est quoi l'histoire ?

Giannino furioso, de son vrai nom, Giannino Stoppani, est un jeune italien de 9 ans vivant au début du XX° siècle. Un jour, sa maman lui offre pour son anniversaire un cahier destiné à recevoir ses petits secrets. Et des petits secrets il en a beaucoup le petit Giannino, car il car il est ce que l'on a coutume d'appeler un enfant turbulent. A tel point que les gens le surnomment Jean l'ouragan. Tout un programme.
Giannino enchaîne les bétises comme d'autres font leur gamme. Avec facilité et en toute candeur, car ce que ses parents appellent des bétises ne sont pour lui qu'un manque de chance désespérant. Entend-il ses parents critiquer un voisin ? Giannino le croise et lui répète. Ses sœurs critiquent entre elles leurs prétendants, il va les voir et leur dit tout. Pourtant Giannino croit bien faire et a même la main sur le cœur. Il libère ainsi un jour un petit oiseau enfermé dans une cage et enclenche sans le vouloir la théorie des dominos. Le chat mange l'oiseau, Giannino punit le chat en le passant sous l'eau froide, le chat s'échappe, casse un vase chinois, sabote un tapis persan et l'eau continue de couler, imperturbable. Et vous le croirez ou pas mais Giannino se fait alors punir par ses parents ! Injustice flagrante à ses yeux que d'être condamné sans appel pour avoir libéré un oiseau.
Il faut dire qu'on les comprend un peu les parents du petit Giannino, car, ils ont beau punir, supplier, menacer, rien ne met un frein à Jean l'ouragan et toute la famille se ligue alors contre lui après avoir souffert financièrement ou professionnellement des élucubrations du garçonnet.
Ce qui devait arriver arriva, Giannino part en pension.
Fidèle à ses convictions, il intègre très rapidement une société secrète tenue par des grands qui, eux au moins, reconnaissent son " esprit " et son audace. Ensemble ils conspirent alors contre la direction de cet abominable collège. Résultat immédiat : retour de Giannino chez lui avec pour perspective la maison de correction.
Comment tout cela finira-t-il ? A vous de le lire.

Alors Fred Sauton ?!?
Tu vas nous dire pourquoi il faut le lire ce livre ?

Le quatrième de couverture résume à lui seul toutes les bonnes raisons de lire ce livre : " "LE" livre à offrir d'urgence à tous les enfants… si l'on ne souhaite pas qu'ils deviennent un jour aussi conformistes que leurs parents. "
Et c'est vrai que cette fable du début de l'ancien siècle n'a pas pris une ride tant au niveau du style que du fond.
A travers les histoires qu'il nous raconte, Giannino met le doigt sur la grande erreur des adultes : ne plus être enfant.
" En fait, notre seul tort à nous autres, c'est de prendre au sérieux les grandes théories des hommes […] et ce qui se passe le plus souvent, c'est que les grands inculquent aux petits tout un tas de grands principes, mais que les petits en sont pour leurs frais s'ils ont le malheur de les mettre en pratique quand les grands ne l'entendent pas de cette oreille ou quand ça dérange leurs calculs ou leurs
intérêts ! "
Malgré ses bétises, Giannino est touchant de franchise, de candeur et extraordinairement sympathique car il a cette faculté qu'ont les enfants de ressentir au plus profond d'eux l'injustice. Faculté que les parents ont le plus souvent abandonnée en route.
Comme le souligne très justement l'auteur de la préface, Giannino " réalise innocemment le rêve de tous les enfants (et de tous les adultes qui se souviennent avoir été des enfants) : jeter bas, comme d'un coup de baguette magique, le masque de sérieux dont se parent les " grands ". "

Ce que je ne vous ai pas encore dit

Giannino furioso ou Le Journal d'un fripon vient tout juste d'être réédité par la très bonne maison d'éditions Phébus (coll. Libretto). Il vous en coûtera 9€90 pour 324 pages. Vamba est le pseudonyme d'un écrivain italien du début du XX° siècle, Luigi Bertelli (1858 - 1920).
Giannino furioso est un des classiques de la littérature italienne et il ne tient qu'à vous pour qu'il devienne un beau cadeau en même temps qu'un grand moment de lecture.

 

   

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Toni Iermano

 

In corso di stampa in <<Studi Piemontesi>>. Rivista interdisciplinare diretta da Luciano Tamburini, edita dal Centro Studi Piemontesi, Torino, vol. xxix–fasc. 2, novembre 2000.

da Parravicini a De Amicis:
considerazioni sulla letteratura per l’infanzia
tra risorgimento e italia umbertina

Dai dieci anni in su, si fuma la nicotina
del regio Appalto, si cura l’infreddatura col cognac, si mastica per vezzo
la pietra infernale, si ride con
Voltaire, si ragiona con Elvezio,
si amoreggia con Faublas alla mano.
[Carlo Collodi, I misteri di Firenze, 1857]

Tu comprenderai allora l’amor di patria,
sentirai la patria allora, Enrico.
[Edmondo De Amicis, Il tamburino sardo,
in Cuore, 1886]

      L’educazione morale della gioventù e la sua necessaria istruzione furono al centro della riflessione dei migliori intellettuali italiani fin dal primo Ottocento. Pedagogisti, letterati, economisti e politici si posero il problema di migliorare il livello educativo delle classi popolari e di offrire, al tempo stesso, un modello alternativo a quelli esistenti, capace di raccogliere il consenso degli italiani [1].
      I programmi politici che animarono il dibattito risorgimentale riservarono largo spazio all’educazione dei giovani. Furono gli intellettuali toscani raccolti intorno all’"Antologia" (1820-1833), rivista fiorentina voluta e finanziata dal commerciante e viaggiatore di origine ginevrina Gian Pietro Vieusseux (Oneglia,1779-Firenze,1863), a ribadire la necessità di un superamento degli antiquati insegnamenti gesuitici e l’apertura di nuovi percorsi formativi, ispirati agli ideali della nuova borghesia moderata. Le crescenti esigenze economico-sociali delle classi produttive richiesero il deciso incremento dell’azione educativa. L’economista toscano Cosimo Ridolfi (Firenze,1794-ivi,1865), fondatore con altri nel 1819 della Società per il mutuo insegnamento, nel 1835, sulle pagine del "Giornale agrario", edito sempre da Vieusseux, dichiarava:

[...] Il popolo a me sembra un pingue terreno che abbandonato a se stesso non produce che triboli e spine. Se voi lo coltivate con cura per aumentarne la nascosta feracità, ma non vi fate regolatori della sua produzione, i mali semi vi getteranno di nuovo radice e lo vedrete cuoprirsi di piante infeste, in vigore ed in numero maggiore di prima. Se lo costringerete a nutrir buoni semi, allora soltanto l’opera vostra sarà compita [2].

      L’azione del gruppo Vieusseux, a cui diede un rilevante appoggio anche Niccolò Tommaseo, fu determinante per l’apertura di un intenso dibattito sull’istruzione e sulla creazione di serie istituzioni scolastiche, organiche alla svolta capitalista data all’economia dagli intellettuali di Palazzo Buodelmonti. Nell’ambito di un vasto dibattito trovarono largo consenso le teorie pedagogiche filopopolari di Raffaello Lambruschini (Genova,1788-Figline Valdarno,1873), artefice di una rilevante opera educativa nella Toscana granducale [3], che ottennero anche il sostegno di studiosi di altri stati italiani. Nel 1819 il piacentino Pietro Giordani, ammiratore degli scritti pedagogici di Lambruschini, aveva, rivolgendosi ai governanti parmensi, invocato un miglioramento dei metodi di educazione scolastica nella sua veemente Causa dei ragazzi di Piacenza [4].
      Preoccupazioni di ordine sociale ma anche una sensibilità nei confronti dei problemi della gioventù furono tra le ragioni determinanti di un dibattito che investì la società culturale italiana tra il 1820 e l’inizio degli anni Quaranta. Racconti, dialoghi, brevi operette morali apparvero con dichiarati intenti educativi. Scrissero libri per la gioventù, tra gli altri, lo storico liberale Cesare Balbo (Torino,1789-ivi,1853), autore, nel 1829, delle Novelle narrate da un maestro di scuola (Firenze, Le Monnier, 1854), e Cesare Cantù (Brivio,1804-Milano,1895), scrittore di pagine di nozioni morali prive di senso storico, secccamente demolite dal De Sanctis [5].
      Operosi nel campo della letteratura per l’infanzia, con esiti importanti, furono anche Enrico Mayer (Livorno,1802-ivi,1877), figura di spicco della cultura pedagogica toscana, e Pietro Thouar (Firenze,1809-ivi,1861), attivo collaboratore delle iniziative editoriali di Lambruschini, in particolare de "La Guida del popolo", fu direttore di periodici per l’infanzia come il "Giornale dei fanciulli" e autore di varie raccolte di edificanti Racconti, che furono molto letti nella scuola italiana ottocentesca. Carducci, dal pedagogista fiorentino appoggiato ed incoraggiato negli anni giovanili, nel giugno 1861, iniziò a scrivere gli affettuosi versi In morte di Pietro Thouar, poi inseriti in Levia gravia [6].
      In Toscana personaggi dello stampo di Thouar e Mayer o esponenti del filantropismo laico come Matilde Calandrini (Ginevra, 1794 - Bessinge, 1866), attivissima nel campo dell’educazione infantile, diedero, comunque, il loro contributo alla nascita di un’istruzione scolastica orientata verso l’attuazione di più o meno coerenti programmi pedagogici.
      La pressione delle alte gerarchie ecclesiastiche sui governi, la svolta autoritaria dei regnanti assoluti, seguita ai fatti del 1848-‘49, e la reazione della cultura cattolica, decisa a riappropriarsi dell’educazione giovanile, rallentarono la svolta riformatrice nell’intera penisola e nello stesso Granducato di Toscana [7].
      Nel 1833 la Società di mutuo insegnamento, "formata in Firenze per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento", bandì un concorso per un libro di lettura morale ad uso dei fanciulli. Sette anni prima Vieusseux aveva scritto al pedagogista Enrico Mayer:

[...] ma a che servirà il saper leggere se poi mancano affatto libri elementari, e le istituzioni che possono renderli profittevoli? [8].

      La commissione, presieduta dal marchese Gino Capponi (Firenze,1792-ivi,1876) e composta da Neri Corsini, Luigi Tempi, Napoleone Pini e Luigi Serristori, tutti autorevolissimi esponenti dell’aristocrazia toscana, esaminò i manoscritti pervenuti e, dopo una prima severa selezione, concluse i lavori il 28 dicembre 1836, premiando il lavoro di Alessandro Luigi Parravicini (Milano,1800-Venezia,1880) intitolato Giannetto. Secondo la commissione il lavoro di Parravicini soddisfaceva "[...] al bisogno universalmente sentito in Italia di buone letture elementari pei fanciulli e pel popolo" [9]. L’opera, edita nel 1837, ottenne un immediato successo in tutti gli stati italiani:

[...] si dice tirino fino a 10.000 copie, alcune migliaia essendo per Bologna, e alcune non poche essendo per Milano stessa. Lo danno alle scuole a tre lire, e con pagamento a rate [10].

      Direttore per lunghi anni della scuola elementare di Como e poi di quella tecnica di Venezia fino alla morte, Parravicini fu autore di molti studi pedagogici e di fortunati manuali scolastici, tra cui il Manuale di pedagogia e didattica (1842-45).
      Nel Giannetto l’autore offriva ai fanciulli, opportunamente guidati dal maestro, un insieme di conoscenze e nozioni sul corpo umano e sui comportamenti dell’uomo (parte prima); sulle attività lavorative e sui santi protettori di ciascun mestiere (parte seconda); sulla geografia fisica e politica (parte terza); sulla vita quotidiana, la famiglia e gli studi del piccolo Giannetto (parte quarta). Tra la terza e la quarta parte figura una sezione intitolata Le serate d’inverno, in cui vengono descritti I tre regni della natura. Conclude il lavoro una quinta parte composta da Racconti morali tratti dalla storia d’Italia, suddivisi in XXVII giornate, narrati da Giannetto, scolaro attento agli insegnamenti del maestro e del parroco. La narrazione è intervallata da brevi Racconti a sfondo morale ed educativo. Al bambino, infatti, non bastava avere una buona reputazione di scolaro se mostrava di avere "alcuni difettucci" in famiglia:

[...] Guai a lui se il maestro e il parroco gli avessero saputi! Sarebbe svanita la bella riputazione di ottimo scolare, che si era acquistata con tanta applicazione allo studio [11].

      L’opera di Parravicini, scritta con uno stile piatto e pedante - accresciuta ed appesantita nelle successive edizioni da nuove aggiunte a cura di Filippo Piccinini - tende, troppo scopertamente, a diffondere un vero e proprio decalogo dei comportamenti e un ideale educativo astratto, basato sul rigido schema famiglia-lavoro-moralità. Motivi questi considerati fondamentali dagli agrari toscani e dalla borghesia lombarda per civilizzare ed istruire il mondo contadino e le classi popolari. Figlio di un pizzicagnolo dedito solo al lavoro (Antonio Masini) e di una donna ignorante, "tutta carità e amor del prossimo", di nome Gioconda, Giannetto viveva, con i suoi genitori, una sorella e tre fratellini, in un "paesetto vicino a una gran città".
      Il Giannetto ottenne un larghissimo successo anche nel Regno delle Due Sicilie, dove l’istruzione pubblica continuava ad essere gestita dal clero grazie all’incondizionato appoggio di Ferdinando II di Borbone. L’opera di Parravicini conobbe a Napoli ben undici edizioni solo tra il 1837 e il 1841. Lo stabilimento tipografico del libraio napoletano Gaetano Nobile pubblicò in quegli anni, insieme al testo del pedagogista lombardo, un numero considerevole di opere e manuali per l’educazione dei fanciulli. Libri di racconti, abbecedari ad uso delle scuole, testi di educazione fisica e ginnastica, "metodi francesi per imparare a leggere in 24 ore", al costo di solo 12 ducati, Letture popolari con figure, il Tesoro de’ Giovanetti di Blanchard, i Consigli di una Nonna alle giovani madri della contessa Mounteashell costituirono solo alcuni dei materiali impiegati dalla borghesia napoletana per l’educazione dei propri figli. Intanto il Giannetto, fino alla pubblicazione di Cuore di De Amicis, fu il libro scolastico più venduto in Italia.
      Nel 1911 Benedetto Croce, pur consigliando cautela nell’uso, caldeggiava:

[...] un ritorno alla lettura dei libri per le scuole elementari, e specialmente di quelli vecchi e filistei, per es. del Giannetto [...]" [12].

      Dimostrazione questa di quanto l’opera di Parravicini fosse penetrata nella cultura italiana ottocentesca e facesse ormai parte del patrimonio pedagogico del tempo.
      Proprio mentre Croce invitava alla lettura di testi scolastici, imperversava il successo dei libri per ragazzi di ogni età del capitano Emilio Salgari e de Il giornalino di Gian Burrasca del noto giornalista Luigi Bertelli detto Vamba (Firenze,1860-ivi,1920).
      Lo pseudonimo di Vamba, dal nome del buffone dell’Ivanhoe di Walter Scott, risaliva agli anni in cui il giovane Bertelli aveva collaborato al quotidiano romano "Capitan Fracassa" (1884), diretto dal ligure Luigi Arnaldo Vassallo detto Gandolin. Suo bersaglio preferito fu il presidente del consiglio Agostino Depretis, al quale dedicò scritti e disegni satirici, in seguito raccolti nel gustoso volume Barbabianca, apparso nel 1887, anno della morte del "mago di Stradella" [13]. In seguito collaborò ad altri quotidiani della capitale: al Don Chisciotte della Mancia (1887-1892), da lui fondato e diretto, e al Don Chisciotte di Roma (1893-1899).
      I beffardi articoli e i celebri "pupazzetti" in punta di penna accrebbero notevolmente la sua notorietà nel mondo della carta stampata. Oppositore garbato e misurato del sistema politico dominante, Bertelli, critico dei governi guidati da Francesco Crispi, sorretti, come quelli Depretis, da un coacervo d’interessi, e del pontificato di Leone XIII, fu vicino alle posizioni radicali di Felice Cavallotti. Le sue simpatie radicali lo portarono prima a dirigere il "Corriere italiano" e poi a fondare a Firenze il giornale "L’O di Giotto", uscito tra il 1890 e il 1892. Su questo foglio si pubblicarono interessanti articoli di critica teatrale, letteratura e satira politico-sociale. Bertelli, vicino alla sinistra repubblicana, pubblicò a puntate le vicende dell’"Onorevole Qualunquo Qualunqui", accolte dai lettori con particolare curiosità ed interesse. Questi articoli furono raccolti nel volume L’onorevole Qualunquo Qualunqui ed i suoi ultimi mesi di vita parlamentare (1898). Nei confronti della classe dirigente liberale il giornalista fiorentino fu sferzante quanto brillante critico. I difficili anni Novanta, dominati da un sistema politico pericolosamente inclinato verso l’affarismo e un disinvolto trasformismo, diedero al giornalismo d’opposizione molti argomenti di polemica. Bertelli non risparmiò naturalmente nemmeno Giovanni Giolitti, da lui chiamato "Palamidone", costretto a dimettersi dall’incarico di presidente del consiglio dei ministri nel tardo autunno del 1892, dopo le rivelazioni del suo coinvolgimento nello scandalo della Banca Romana [14]. A Giolitti succedette di nuovo Crispi, negli articoli satirici di Vamba detto "Capone crispius". In questi anni Bertelli lavorò a Roma anche al mensile illustrato "Il Pupazzetto" (1886-1890), diretto da Gadolin, e al settimanale di critica teatrale di Edoardo Boutet "Carro di Tespi" (1889-1891).
      Nel 1893 Vamba pubblicò Ciondolino, il suo primo libro per ragazzi, presso Bemporad di Firenze. La sua straordinaria capacità di disegnatore, una cospicua dose di umorismo, ereditato dalla migliore stagione letteraria toscana, ed una sofferta consapevolezza della degenerazione dei costumi e della moralità pubblica lo spinsero ad affrontare con ardore il difficile terreno della letteratura per l’infanzia [15].
      Ciondolino, nato anche dal felice incontro con Enrico Bemporad e con il celebre illustratore di libri popolari Carlo Chiostri a cui si devono le centoventi illustrazioni inserite nel libro, narra la storia di tre bambini fannulloni e disubbidienti – Gigino, Giorgina e Maurizio -, invidiosi persino degli insetti, capaci, a loro giudizio, di vivere liberamente, senza impegni, "che non fanno altro che far passeggiate dalla mattina alla sera" [16].
      Trasformato in formica il piccolo Gigino si accorge quanto lavoro e responsabilità gravano su questi piccoli insetti malgrado non debbano studiare la grammatica latina. Libro metaforico e realistico, ricco di contenuti scientifici, introduce alcuni dei temi dominanti della letteratura pedagogica di Bertelli, convinto sostenitore di un umanesimo integrale, poggiato su seri principi morali e sinceri ideali politico-patriottici: non a caso fu antitriplicista, anticolonialista e convinto irredentista [17].
      Nel 1906 Bertelli fondò il "Giornalino della Domenica", uscito fino al 1920, alla cui prima pagina collaborarono Luigi Capuana, Guido Mazzoni, Ugo Ojetti, Edmondo De Amicis, Giovanni Pascoli, Emilio Salgari, Renato Fucini, e tanti altri importanti scrittori del primo Novecento: il "Giornalino" si avvalse anche della collaborazione di ottimi disegnatori, tra cui l’esordiente Sergio Tofano (Roma,1886-ivi,1973), futuro creatore del Signor Bonaventura [18]. La letteratura per l’infanzia, sottratta agli ormai sterili ed antiquati schemi moralistico-religiosi dell’Ottocento, diveniva argomento di un moderno dibattito pedagogico e di una seria ricerca linguistica. Nell’Italia del tempo continuavano a suscitare interesse e curiosità i libri didascalici della maestra elementare e giornalista Ida Baccini ( Firenze,1851-ivi,1911), autrice di testi di lettura per gli asili infantili e per le prime classi elementari: Le memorie di un pulcino (1875); La fanciulla massaia (1880); Il libro del mio bambino (1881) costituivano il terribile arsenale di una educazione convenzionale e paradossalmente lontana dal mondo dei ragazzi. L’iniziativa giornalistica di Vamba partiva, invece, da motivazioni letterarie e pedagogiche del tutto diverse. Nella redazione del "Giornalino della Domenica" lavorava il padre scolopio Ermenegildo Pistelli, noto come Omero Redi, autore della rubrica filologica Pìstole d’Omero. Bertelli il 7 febbraio 1907 iniziò a pubblicare a puntate Il Giornalino di Giamburrasca, uscito fino al 17 maggio 1908. Le divertentissime quanto improbabili avventure di Giannino Stoppani, soprannominato Giamburrasca, conquistarono subito un successo vastissimo sia tra i fanciulli che tra gli adulti. Giamburrasca racconta le proprie avventure al suo diario, trasformato in un vero e proprio confidente ed amico. L’uso di un linguaggio disinvolto, dai risvolti parodici, la ricerca di un intrinseco umorismo, una scatenata comicità ed una satirica rappresentazione di personaggi e fatti del tempo attribuiscono ai comportamenti di Giannino Stoppani uno spirito di ribellione verso una società conformista e piena di ipocrisia. Il mondo degli adulti risulta privo di convincenti risorse educative e lontano dalla vivacità dei ragazzi. Bertelli abbandona la strada dei sermoni moralistici e ripone gli stucchevoli esempi di carità e generosità proposti dalla narrativa per ragazzi del primo Ottocento.
      Le prime cinquanta pagine del Giornalino di Giamburrasca sono un ricalco di quelle pubblicate dalla scrittrice per ragazzi Ester Modigliani nel suo libro Le memorie di un ragazzaccio, stampato nel 1911 da Bemporad, editore, stranamente, anche delle tante iniziative di Bertelli. In realtà Vamba, pur utilizzando parti dell’opera della Modigliani, riuscì a dare originalità e una vigorosa forza creativa a personaggi e situazioni altrimenti pallidi e sfuocati [19].
      Le avventure di Giamburrasca furono raccolte in volume nel 1920, anche se nel ‘12 sembra sia stata pubblicata da Bemporad una prima edizione oggi scomparsa. Altri libri per ragazzi scritti da Bertelli furono: Storia di un naso (1906); Le scene comiche (cinematografo poetico) (1913); I bimbi d’Italia si chiaman Balilla (1915); Novelle lunghe per i ragazzi che non si contentan mai (1929).
      L’umorismo di Vamba trova certamente un suo fondamentale quanto irraggiungibile modello di riferimento nella vasta attività giornalistica e letteraria di Carlo Lorenzini (Firenze,1826-ivi,1890) detto Collodi - dal piccolo feudo dei marchesi Garzoni Ventura, luogo di nascita della madre - uno dei più nuovi e complessi scrittori italiani dell’Ottocento [20].
      Sovrano assoluto della letteratura per l’infanzia, Collodi non è, comunque, narratore da poter esiliare nella dorata quanto remota provincia della nostra civiltà letteraria ottocentesca. La sua ostinata ricerca di una scrittura moderna, parodica e grottesca, espressa attraverso un pirotecnico repertorio d’invenzioni - in cui si coagulano stranezze ariostesche e umori sterniani, e non restano estranee immagini metafisiche, assorbite, forse, dall’osservazione della pittura trecentesca - rende Collodi un originale innovatore.
      Giovanissimo, nel 1847, esordì nel giornalismo sulle pagine del periodico milanese "L’Italia musicale", con l’articolo L’arpa. Lorenzini aveva fatto studi classici e musicali nell’ottimo seminario di Colle Val d’Elsa e poi presso i padri Scolopi, dove volle iscriverlo lo zio Giuseppe Orzali, pittore di buon livello artistico. Dal settembre 1844 al 1848, conclusi gli studi, lavorò nella celebre libreria Piatti, in via del Proconsolo di Firenze, amministrata dall’erudito e bibliotecario Giuseppe Aiazzi, luogo d’incontro d’intellettuali e scrittori. In questi anni acquisì una buona quanto variegata cultura letteraria e fu attento alle questioni politico-culturali del tempo: come è stato opportunamente dimostrato, il tenace pregiudizio sulla superficialità della cultura collodiana deriva, essenzialmente, dalla scarsa conoscenza del giornalismo e dalla letteratura umoristica nell’Ottocento [21]. Nel 1848, con il fratello Paolo, prese parte alla prima guerra d’Indipendenza e partecipò alla battaglia di Montanara, "piuttosto vicino agli arrabbiati che ai temperati" [22]: dal campo toscano presso Mantova, tra aprile e maggio di quell’anno, inviò ad Aiazzi alcune lettere, in cui emergono elementi tipici del suo stile narrativo [23]. Al ritorno debuttò come collaboratore del giornale fiorentino "Il Lampione" [24], nato il 13 luglio ‘48, su cui tenne la rubrica anonima intitolata Misteri di Firenze e scrisse i suoi primi, efficacissimi articoli umoristici di derivazione sterniana, dal tono scanzonato e brioso [25].
      L’esperienza giornalistica del ‘48, l’inizio della sua serie di "profili fisiologici" - il primo fu dedicato alla Fisiologia del codino - svelano l’archetipo narrativo di uno scrittore laico, caricaturale, capace di raccontare la realtà con naturalezza espressiva, leggerezza descrittiva, invenzioni digressive e spontaneo disincanto, orientato verso la ricerca di una letteratura moderna. Lorenzini, avverso alla mitologia romantica e al classicismo, individuava in Laurence Sterne un modello con il quale confrontarsi.
      Il modello sterniano, diffusosi attraverso il giornalismo umoristico, alla seconda metà del secolo venne a rappresentare "davvero un terzo polo stilistico e letterario" [26]. Sterne era stato l’autore di quel The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (1759), "progenitore di tutti i romanzi d’avanguardia del nostro secolo" (Italo Calvino): nell’Italia dell’Ottocento l’unica traduzione esistente dell’opera consisteva nei tre frammenti (Storia di Yorick; Il naso grosso; Storia di Le Fever), editi a cura del livornese Carlo Bini nel 1829 - certamente conosciuti da Collodi [27].
      Il giovane Carlo, novizio nella vita giornalistica, nel 1849 trovò un impiego nell’amministrazione governativa, che conservò fino al 1852. Autore di svariate collaborazioni giornalistiche dedicate alla letteratura, al teatro e alla musica, Lorenzini mostrò subito di possedere uno stile immediato, una vivacità di sguardo della realtà ed una originale vena umoristica, che lo resero scrittore brillante e gradito persino ai critici.
      Negli anni Cinquanta suoi articoli vennero accolti sulle più vivaci riviste toscane dedicate alla vita teatrale e musicale italiana: "L’Arte"; "La Scena", "Lo Spettatore", il più autorevole di tutti, "La Lente" e "Lo Scaramuccia", definito "uno dei migliori giornali dell’epoca" [28], del quale Collodi fu ideatore e direttore.
      Nel 1854 Lorenzini sferrò sulle pagine di quest’ultimo giornale un attacco durissimo contro il poema Rodolfo di Giovanni Prati, con cui continuò negli anni un’aspra polemica. Prati, nel ‘55, rappresentò Lorenzini nella parte di un topo che viene subito divorato da un gatto nel suo Satana e le Grazie. La stroncatura collodiana, intanto, aveva ragioni sia politiche che letterarie: Lorenzini era un convinto repubblicano, avverso alla linea filosabauda del movimento unitario, profondamente deluso dalla politica di Carlo Alberto, ma anche un insofferente critico dei motivi del tardoromanticismo pratiano.
      Sono di questi anni la pubblicazione delle sue prime opere: nel 1856 escono il dramma in due atti, poi commedia in tre atti (1862), Gli amici di casa e il bel libro "ferroviario" Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica (Firenze, Tipografia di Giuseppe Mariani), intreccio di generi e di sperimentazioni, oscillante tra parodia e attendibili consigli per i viaggiatori, il tutto rappresentato mediante un amabile tono da conversazione, intriso di spirito satirico e di ricercate quanto amene digressioni [29].
      Nell’anno successivo esce il primo e unico volume de I misteri di Firenze. Scene sociali, in cui l’autore riprende i temi della sua critica alla Firenze granducale e ricalca, in chiave parodica ed ironica, gli elementi del feuilletton e del romanzo a sfondo sociale; con acutezza tutta collodiana, Lorenzini, negando subito la possilità di scrivere un romanzo sul modello di Sue, sosteneva: "[...] Firenze, per esempio, non ha misteri" [30].
      Convinto unitario, Collodi, nel 1859, dopo aver partecipato alla seconda guerra d’Indipendenza, si oppose ai legittimisti e agli autonomisti, che in Toscana si dichiaravano avversi all’annessione al Piemonte. Risale a quel tempo la sua polemica con il professore Eugenio Albéri, docente nell’università di Pisa, sostenitore della politica bonapartista, sulle pagine del quotidiano ricasoliano "La Nazione" di Firenze [31]. Nel primo periodo post-unitario Collodi pubblicò numerosissimi articoli di critica teatrale e musicale nonchè scrisse storie umoristiche e metaforiche.
      Nel 1871 iniziò a scrivere articoli per il "Fanfulla" di Ferdinando Martini e a collaborare con periodici di varie parti d’Italia. Due anni dopo pubblicò il romanzo I ragazzi grandi, in cui riuscì a creare un moderno "passaggio dal genere teatrale a quello del racconto" [32], attraverso un ampio uso del dialogo. La vastissima produzione giornalistica, in parte, confluisce, invece, nei libri: Macchiette (Milano, Gaetano Brigola,1879); Occhi e nasi. (Ricordi dal vero) (Firenze, Felice Paggi,1881) e nei postumi volumi Note gaie (1892) e Divagazioni critico-umoristiche (1892), raccolti e ordinati da Giuseppe Riguttini, entrambi stampati dal fiorentino Bemporad.
      In Occhi e nasi Collodi si chiedeva provocatoriamente: "Chi è che ha cancellato i ragazzi dalla faccia della terra?" [33]. Era evidente da parte dello scrittore toscano l’appassionata ricerca di una letteratura in grado di raccogliere l’interesse dei piccoli lettori in una società profondamente mutata rispetto ad un passato fatto di altarini e presepi, di bellissime cioccolate liquide "da far venire la voglia di beverli o d’inzupparvi dentro i crostini imburrati".

Oggi è tutto cambiato.
Oggi, invece di bambini e di ragazzi, abbiamo un moscaio di omini politici non ancora passati a cresima, e un brulichio di Machiavelli impuberi e veduti dalla parte rovescia del cannocchiale, i quali, se vanno alla scuola tutti i giorni, lo fanno unicamente per insegnare qualche cosa ai loro maestri, che ne hanno tanto bisogno (op.cit., p.296).

      Nel nuovo volume collodiano apparvero alcuni ottimi testi di costume, esemplari prove di una attenta quanto originale rielaborazione di modelli alti della letteratura europea contemporanea; - per tutti potremmo citare Balzac quando si legge Il ragazzo di strada, con cui si apre la raccolta, oppure l’umoristico scritto Gli ultimi fiorentini, del tutto privo di nostalgie per il passato lorenese. Aldo Borlenghi ha fatto notare il silenzio di Collodi "sul gusto del bozzetto", che proprio nella Toscana ottocentesca trovava la sua consacrazione. Estraneo a tutto quanto obbligava aderenza alla stretta realtà e al finito, Lorenzini mostrava qualità inventive, singolarità narrativa e un culto delle stranezze, che lo allontanavano dallo specifico "terreno letterario dei bozzettisti" [34].
      Nello scrivere la brevissima introduzione, intitolata Storia di questo volume, alla raccolta Macchiette, Collodi chiariva che l’unico elemento che teneva insieme i fogli del suo libro era un: "[...] modestissimo filo di refe" che:

vedendolo così a occhio, parrebbe quasi un accessorio da nulla; eppure quel filo di refe, in parecchi libri, è il vero nesso logico che serve a legare i primi capitoli cogli ultimi, e a mantenere intera l’unità di concetto dal frontespizio alla fine [35].

      Nel 1876 Collodi approdò, dopo aver sospeso la sua collaborazione al "Fanfulla" per timore di ritorsioni - era ancora impiegato alla Prefettura di Firenze - del nuovo ministro degli interni Giovanni Nicotera, alla letteratura per l’infanzia pubblicando I racconti delle fate voltati in italiano, illustrati da Enrico Mazzanti, presso l’editore fiorentino Felice Paggi [36]. Con estrema originalità linguistica ed arguzia tradusse Les Histoires ou contes du temps passé di Perrault e altre fiabe di Madame d’Alnoy e Madame Leprince de Beaumont.
      Il suo esordio come scrittore per ragazzi scaturiva dalla esigenza di rendere moderno e ridare vigore un genere in forte crisi. Il Giannetto di Parravicini, che tanto era stato promosso dagli intellettuali del gruppo Vieusseux, appariva anche ai fiorentini un libro vecchio ed antiquato. Francesco De Sanctis, in una delle sue lezioni napoletane dedicate alla Scuola liberale (aprile 1873), parlando di Cesare Cantù e la letteratura popolare, ribadiva la necessità di scrivere libri nuovi e soprattutto interessanti, capaci di educare alla storia, diversi da quelli di Parravicini o Cantù, privi di un disegno generale:

[...] Il problema d’un libro d’istruzione è di dare al giovane una folla di cognizioni utili, sì che impari piacevolmente, quasi senza accorgersene [...] [37].

      I testi collodiani Giannettino. Libro per ragazzi (Firenze, Paggi, 1877), Minuzzolo. Secondo libro di lettura (Seguito al "Giannettino") (ivi, 1878) e le tre parti de Il viaggio per l’Italia di Giannettino (ivi, 1880-1883-1886) nascono dalla necessità non solo di educare ma di istruire: questi libri pullulano di

"[...] cose viste, di pagine di vera scrittura, che non servono solo per esercitarsi a leggere, ma per educarsi a saper vedere, a osservare, a riflettere" [38].

      Il 7 luglio 1881, su invito del finissimo letterato e giornalista Guido Biagi (Firenze,1855-ivi,1925), Collodi pubblicò sul "Giornalino dei bambini", diretto da Ferdinando Martini, le prime due puntate della Storia di un burattino: il successo fu immediato e strepitoso [39]. Per i restanti mesi di quell’anno uscirono i primi XV capitoli; furono le insistenze di Biagi a spingere Collodi a riprendere la pubblicazione della storia, ritenuta conclusa lì con l’impiccagione del burattino "a un ramo della quercia grande" da parte degli assassini. Col nuovo titolo definitivo de Le avventure di Pinocchio, ricominciarono le pubblicazioni il 16 febbraio 1882 ed andarono avanti, tra interruzioni e pause più o meno brevi, fino al 25 gennaio 1883, quando apparve il XXXVI ed ultimo capitolo di un’opera composta, sostanzialmente, a nostro avviso, con una tecnica a mosaico. I tempi e i modi della pubblicazione dell’opera hanno spinto Emilio Garroni a sostenere la suggestiva tesi di una plausibile lettura di Pinocchio "come due romanzi in un uno": il primo composto dai capp. I-XVI, il secondo dai capp. I-XXXVI [40]. Solo un mese dopo, nel febbraio ‘83, l’editore Paggi stampò Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino illustrata da E. Mazzanti, dando il via ad una complicatissima vicenda filologico-editoriale tuttora in corso [41]. Le argomentazioni filologiche e tecniche della Polidoro appaiono convincenti ma la tesi sulla nascita "involontaria" dell’opera, attiva eredità pancraziana, resta poco condivisibile.
      Nell’opera Collodi riversò tutta la sua vastissima esperienza di narratore e giornalista umorista: la conoscenza del teatro comico, dell’opera buffa, del melodramma; la lettura approfondita del romanzo umoristico e degli intrecci del racconto avventuroso; lo studio della favola e della fiaba costituivano l’incredibile patrimonio interamente investito da Lorenzini nel suo capolavoro.
      Il suo pessimismo nei confronti della amara quanto melanconica realtà politico-sociale italiana, remota ed estranea ai valori morali e ai principi del Risorgimento laico, e al tempo stesso le indemoniate quanto oscure avventure fantastiche, saggiamente bilanciate dalla necessaria ricerca della eticità della vita, contribuivano a creare un doppio registro di lettura, in grado di soddisfare sia le emozioni e le paure dei piccoli che le curiosità e l’ironia degli adulti.
      Nelle vicende di Pinocchio si colgono vari sedimenti letterari e un’alta concentrazione di contenuti variegati, uniti dalle capacità espressive e dal moralismo dell’autore in un tessuto narrativo equilibrato ed omogeneo. Collodi riesce a parlare con il mondo dei bambini senza cercare nè di alterarlo nè di modificarlo ad uso delle esigenze pedagogiche degli adulti. I bambini non possono essere "omini anticipati", così come richiedono i seriosi genitori borghesi della nuova Italia.
      La risata resta il più prezioso dei minerali che Collodi sa estrarre dalle sue profonde miniere ed offrire ai lettori. Analogo procedimento, a dimostrazione che Pinocchio non fu un "capolavoro scritto per caso"[42], ritroviamo nel volume Storie allegre. Libro per ragazzi, Illustrazioni di E. Mazzanti stampato ancora da Felice Paggi nel 1887 e ripubblicato da Bemporad tre anni dopo in una nuova edizione. La raccolta, una "sbrigliata invenzione farsesca" [43], suscitò grande interesse tra il pubblico dei giovani lettori ed offrì a Vamba qualche significativo suggerimento per arricchire l’inesauribile catalogo delle monellerie di Giannino Stoppani [44].
      In questo suo libro, costituito da otto tenere storie - tra cui la buffa vicenda del signor Gigino, protagonista de L’omino anticipato ossia la storia di tutti quei ragazzi che vogliono parere uomini prima del tempo, e dell’animale-ragazzo Pipì o lo scimmiottino color di rosa - Collodi inserì il moralistico quanto melanconico racconto autobiografico Quand’ero ragazzo, un felice ricordo dei suoi ormai lontani della fanciullezza.

Mille anni fa, anch’io era un ragazzetto, come voi, miei cari e piccoli lettori: anch’io avevo, su per giù, la medesima vostra età, vale a dire fra gli undici e i dodici anni.

      Suo ultimo libro fu un testo decisamente per bambini da istruire: La lanterna magica di Giannettino, apparso nel 1890.
      L’Italia monarchica e liberale uscita dal Risorgimento evidentemente aveva bisogno di acquisire sempre più una sua coscienza unitaria non solo dal punto di vista politico. I regionalismi e le acute nostalgie provinciali di taluni scrittori, le disastrose condizioni delle province meridionali, reduci dal grande brigantaggio e sfibrate da secoli di arretratezza, l’attivismo repubblicano d’ispirazione mazziniana, il radicalismo di area scapigliata e il dissenso cattolico confermavano l’idea di uno Stato ancora alla ricerca di una identità nazionale [45]. L’aspro confronto politico-ideologico degli anni Sessanta - Settanta e la presenza di un esasperato malessere sociale nelle campagne e nelle città, che i generali sabaudi tendevano pregiudizialmente a reprimere con durezza se non con violenza, scoprivano le debolezze di un sistema alla ricerca di un consolidamento della propria amministrazione e delle sue necessarie quanto intrinseche fibre civili.
      Edmondo De Amicis (Oneglia,1846-Torino,1908) fu, almeno per due decenni, uno dei più attivi fra gli scrittori borghesi a fornire all’Italia sabauda una letteratura il più possibile coerente con le aspettative culturali e morali del ceto medio. Il giovane De Amicis, figlio di un "banchiere regio dei sali e tabacchi", dopo gli studi liceali a Cuneo, aveva frequentato il collegio "Candellero" di Torino e poi la Scuola militare di Modena. Come ufficiale di fanteria partecipò alla battaglia di Custoza nel 1866 e l’anno successivo prese parte al corpo di spedizione militare in Sicilia, inviato per fronteggiare l’epidemia colerica. Collaboratore della rivista "Italia Militare", rivista edita ministero della Guerra, e della "Nuova Antologia", De Amicis iniziò a scrivere bozzetti nei quali la dura vita militare veniva rappresentata con toni idillici e patriottici. Nel 1868 diede alle stampe uno dei suoi più fortunati libri, Vita militare (Milano,Treves), raccolta formata da dodici scritti già apparsi su "Italia Militare" e la "Gazzetta d’Italia". L’anno dopo Le Monnier di Firenze pubblicò una seconda edizione dell’opera, ordinata ed accresciuta, composta da venti pezzi, di cui undici del tutto nuovi: l’edizione definitiva fu pubblicata da Treves nel 1880. La complessa storia editoriale di questo libro indica il percorso letterario del giovane scrittore ligure-piemontese, scandendo il passaggio da un periodo sperimentale "al costituirsi di un assetto più organico di narrabilità, non priva - almeno nelle intenzioni - di un proprio e ragionato decoro strutturale" [46].
      Nel lungo reportage-racconto L’esercito italiano durante il colèra del 1867, edito sulla "Nuova Antologia" nel ‘69 e nello stesso anno in Vita militare, lo scrittore descrisse con convinta partecipazione i comportamenti dei soldati, sempre pronti a collaborare malgrado la diffidenza e la feroce ostilità delle popolazioni dei paesi siciliani nei loro confronti. Nonostante la continua esecrazione subita, per i soldati:

[...] il correr rischio di vita continuo della vita e averla a difendere così di frequente dalle violenze d’un volgo insensato era forse un pensiero meno doloroso e una cura men grave che il dovere a ogni tratto proteggere la vita degli altri cittadini dalle stesse violenze e per le stesse cause minacciate. [...] [47].

      Nel 1866, l’anno della disfatta di Custoza e di Lissa, Palermo era stata scossa da violente proteste sociali contro il carovita e i mali endemici dell’isola, che avevano incrinato i già difficili rapporti tra le classi popolari e le strutture governative [48]. In un clima politico molto agitato i racconti deamicisiani furono editi in aperta polemica con l’antimilitarismo degli scrittori e degli intellettuali lombardi raccolti intorno a "Il Sole" e al "Gazzettino rosa", riviste su cui Iginio Ugo Tarchetti, ex ufficiale dell’esercito, aveva pubblicato a puntate, tra il ‘66 e il ‘67, Vincenzo D*** (Una nobile follia), a cui aggiunse Drammi della vita militare: l’opera tarchettiana, che tanto scandalizzò i militari e fu bruciata dai caporali di giornata [49], apparve in volume, stampata da Francesco Vallardi, nel 1867: naturalmente fu accolta con entusiasmo e approvazione da personalità del radicalismo come Paolo Valera e Felice Cavallotti, violenti critici dell’opera deamicisiana. L’esaltazione fatta da De Amicis del soldato in caserma, del nobile senso di disciplina e del necessario spirito di sacrificio fu subito contrapposta alle dure polemiche dell’antimonarchico scapigliato, arrabbiato difensore dei diritti del soldato [50]. Nella prefazione alla seconda edizione di Una nobile follia, apparsa nel 1869, Tarchetti, pur ricoscendo a De Amicis il "successo di forma" dei suoi bozzetti, sosteneva che:

[...] Il giovine autore di quelle pagine, uscito da un’Accademia militare, ha parlato dell’eserito, come un collegiale uscito di ginnasio potrebbe parlare degli uomini e della società che non ha ancora conosciuto. [...] [51].

      Nel 1867 De Amicis aveva stabilito importanti legami con la cultura fiorentina ed era entrato in buoni rapporti di amicizia con il senatore conservatore Ubaldino Peruzzi e sua moglie Emilia, con la quale creò un lungo, cordiale ed ambiguo sodalizio umano ed intellettuale [52]. A Firenze lo scrittore coltivò interessi linguistici e rafforzò la sua fedeltà al modello manzoniano. Nel settembre 1870 seguì, in veste d’inviato dell’"Italia Militare", le operazioni militari che portarono alla conquista di Roma da parte dell’esercito italiano: le cronache dell’avvenimento furono raccolte nel gradevole volumetto Impressioni di Roma (Firenze, Faverio, 1870), poi rielaborate nei Ricordi del 1870-71, stampato da Gasparo Barbèra di Firenze nel 1872. In quell’anno apparvero le Novelle (Firenze, Le Monnier), volume costituito da sei testi frutto ancora di ricerche sperimentali e mescolanze di generi: pagine autobiografiche, bozzetti, scritti d’occasione, veri e propri racconti [53].
      Nel 1871 De Amicis aveva lasciato la carriera militare per dedicarsi esclusivamente al giornalismo professionistico. Le sue capacità coloristiche, la indiscussa dote di descrivere e narrare insieme, l’attenzione per i dettagli, il gusto aneddotico, l’uso di una lingua chiara, strutturalmente efficace nella sua linearità espressiva fecero del ligure-piemontese un formidabile reporter, apprezzato e richiesto inviato-speciale. Dal giornale fiorentino "La Nazione" fu spedito in Spagna nel ‘72 per scrivere articoli di costume, di arte, di geografia e di varia umanità su quel paese. I seguitissimi resoconti deamicisiani furono raccolti nel volume Spagna e pubblicati nel 1873 da Barbèra. A questo libro seguirono una lunga quanto fortunata serie di avvincenti reportage di viaggio, in gran parte oscillanti tra esotismo e evasione: Ricordi di Londra (1874); Olanda (1874); Marocco (1876); i due volumi dedicati a Costatinopoli (1877-78) e Ricordi di Parigi (1879). A questo genere si richiamano anche i Ritratti letterari (1881) e Alle porte d’Italia, edito da Sommaruga nel 1884. Lo strepitoso successo di questi volumi, dovuto anche ad una meticolosa operazione editoriale, impose De Amicis nella società letteraria italiana. Risale a questo tempo la nascita di uno stretto sodalizio con l’editore milanese Treves.

      I resoconti di viaggio, confermano i pregi e limiti del primo De Amicis; scrittore ancora poco attento all’approfondimento critico ma pregevole quanto efficace narratore [54]. Non mancarono severi giudizi sui Viaggi deamicisiani da parte della critica radicale, che non gli aveva ancora perdonato i Bozzetti militari; Arcangelo Ghisleri , polemico nei confronti di quella "Giovane Letteratura" indulgente nei confronti delle richieste del pubblico, sosteneva che quei libri:

[...] ci presentano il mondo esteriore riprodotto tale e quale come lo sarebbe da una macchina fotografica. Non v’è profonda elaborazione artistica, un vero e proprio lavoro di assimilazione e creazione. Gliene mancano e le forze e l’animo. [...] [55].

      Vittorio Bersezio, invece, recensì sulle torinesi "Serate italiane" il primo volume di Costantinopoli con grande enfasi, provocando le ire di Ghisleri (op.cit.,pp.59 e 89).
      Il meridionalista Pasquale Villari, nel 1875, invitò De Amicis a recarsi a Napoli per "descrivere la miseria nelle sue mille forme" [56] ma lo scrittore rifiutò nonostante la mediazione di Emilia Peruzzi: quel viaggio fu poi fatto dallo scrittore maremmano Renato Fucini.
      Nel 1878 De Amicis illustrò in una lettera a Treves il progetto di un libro, che definiva "nuovo, originale, potente", da intitolarsi Cuore, la cui ispirazione gli era stata fornita dalla lettura de L’Amour di Jules Michelet.

[...] Sarebbero osservazioni, bozzetti, schizzi, tutto coordinato al soggetto, come nell’Amour, scene di famiglia e di società, personaggi anonimi che compariscono e spariscono, in ogni cosa l’ispirazione e la commozione, la freschezza giovanile di un’ anima schietta.[...] [57].

      Nonostante le sollecitazioni di Treves a scrivere questo nuovo libro, De Amicis si dedicò ad altri lavori. Nel 1880 pubblicò le Poesie e nel 1883 i due volumi de Gli amici, una complessa quanto diseguale rassegna di impressioni e divagazioni sul tema dell’amicizia, che il suo editore avrebbe voluto presentare come prima parte di Cuore.
      I versi deamicisiani furono, invece, dettati da motivi occasionali, da impressioni di vita, da ricordi di amicizia, dal mondo degli umili: molte poesie nacquero in occasione dei tanti viaggi all’estero e altre da polemiche letterarie. Due testi furono scritti durante la conquista di Roma del 1870: Il 20 settembre 1870 e Sotto le mura di Roma (Prima del 20 settembre). Nella raccolta poetica, in cui si avvertono l’influenza del realismo di Vittorio Betteloni e Giovanni Camerana, fu inclusa anche la lirica sentimentale Fra due cugini [58]; dedicata affettuosamente all’amico Michele Lessona (Venaria Reale,1823-Torino,1894), scienziato, educatore e letterato, protagonista della vita culturale torinese e italiana del secondo Ottocento; a Torino il giovane ligure si legò a Giuseppe Giacosa e Vittorio Bersezio.
      Nel 1884 De Amicis fece un viaggio in America del Sud sulla nave "Nord-America" - (chiamata "Galileo" nelle pagine deamicisiane) - in compagnia di italiani che emigravano in Argentina. Su questa esperienza di viaggio iniziò a scrivere I nostri contadini in America poi diventato Sull’Oceano (1889), primo romanzo italiano a trattare lo scottante argomento dell’emigrazione. Non mancano, in un intreccio di storie e di descrizioni dal taglio, talvolta, giornalistico, valutazioni critiche sul fallimento di una società come quella italiana incapace di dare lavoro a fratelli, sorelle, figli e padri di "soldati che han combattuto e che combatteranno per la terra in cui non poterono e non potranno vivere" [59], costringendoli a lasciare la patria. Nel tono commosso s’inseriscono espressioni taglienti, dettate da un senso di rimorso e d’impotenza, ma non si smarrisce mai il senso drammaticamente realistico del racconto. Tra i poveri viaggiatori della terza: "Anche quelli che non soffrivano avevan l’aria abbattuta, e più l’aspetto di deportati che d’emigranti. [...]" (ivi, p.11). De Amicis era certamente venuto a conoscenza di The amateur emigrant di Robert Louis Stevenson, operetta nata da una personale esperienza di viaggio sulla nave Devonia da Glasgow a New York nell’agosto 1879.
      Nei primi mesi del 1886 De Amicis riprese il progetto di Cuore e nel mese di maggio di quell’anno terminò di scriverlo: ad ottobre Treves mandò l’opera in libreria. Il successo fu immediato e il libro divenne subito un best-seller: ebbe trecento edizioni in diciotto anni. Luciano Tamburini, uno dei più attenti studiosi dell’opera deamicisiana, ha rilevato che:

[...] Tre elementi cooperano così a costituire il vagheggiato e semiobliato Cuore: l’emigrazione, la componente locale, la scuola. La prima, intesa ancora angustamente negli affetti più che nelle cause [...]; la seconda, rigetto di formule abusate e recupero di climi quotidiani; la terza, lucida subitanea presa di coscienza di un altro problema trascurato e grave, quello dell’istruzione pubblica [60].

      L’organizzazione della scuola fu uno dei problemi di fondo sia dei governi della Destra che di quelli della Sinistra storica. Nel 1872 Pasquale Villari, cultore dei modelli inglesi, nell’articolo La scuola e la questione sociale in Italia, apparso sulla "Nuova Antologia, mise in evidenza l’esigenza di una immediata costruzione di un serio modello scolastico, possibilmente laico ed aperto alle esigenze economico-sociali della nazione[61] . In quello stesso anno il ministro Scialoja promuoveva la grande inchiesta sull’istruzione secondaria. La borghesia italiana prendeva coscienza di uno dei maggiori problemi legati alla organizzazione di uno Stato moderno. Cuore di De Amicis concorreva in maniera decisiva al rafforzamento ideologico e morale di questo programma, ribadendo i motivi di fondo che animavano la cultura laica di estrazione liberale: disciplina come sinonimo di moralità, religione del dovere, spirito di sacrificio, dedizione agli ideali patriottici, vocazione al lavoro, riconoscimento di una società costruita su una solidarietà interclassista, riduzione della terribile piaga dell’analfabetismo. I meccanismi ideologici del libro deamicisiano, tesi essenzialmente a sdrammatizzare i conflitti sociali, sono tutti rintracciabili nel dibattito politico-culturale di un’Italia alla ricerca di una fisionomia borghese stabile ed equilibrata.
      Dal punto di vista letterario Cuore si presenta come una felice miscela di generi: diaristico, epistolare e narrativo. In dieci mesi, da lunedì 17 ottobre 1881 a lunedì 10 luglio 1882 - dal primo giorno di scuola agli esami - lo studente Enrico Bottini, della III classe di una scuola elementare torinese, racconta nel suo diario la vita scolastica. Il racconto è intervallato da lettere del padre di Enrico, una figura che assolve al compito di fare una continua esaltazione dei valori morali patrocinati dalla nuova Italia.
      Le sue lettere, non prive di artificiosità e moralismo, rappresentano un continuo richiamo ad un comportamento esemplare, sostanzialmente retorico e scarsamente perseguibile. I nove racconti mensili inclusi nel libro (Il piccolo patriotta padovano, La piccola vedetta lombarda, Il piccolo scrivano fiorentino, Il tamburino sardo, L’infermiere di Tata, Sangue romagnoloi, Valor civile, Dagli Appennini alle Ande, Naufragio) affrontano con linearità espressiva seppur con una intensa partecipazione sentimentale i temi cari al De Amicis: l’emigrazione, le lotte risorgimentali, la miseria, la condizione giovanile. Gli studenti - dal buono e forte Garrone al cattivo Franti - sono gli attori di un insieme di storie della vita di tutti i giorni, in cui trovano abile coesione ideologia e letteratura [62].
      Cuore è stato uno dei libri più popolari che siano mai stati scritti in Italia; la sua stampa si rivelò sia per l’autore che per l’editore Treves uno straordinario affare. Nel primo anno di pubblicazione il libro ebbe quaranta edizioni, due anni dopo era a quota novantotto e nel 1906 si toccavano le 330.000 copie vendute, senza contare un imprecisato numero di traduzioni. Nel 1923, come scrive Luciano Tamburini, l’opera aveva venduto un milione di copie [63].
      Quasi contemporaneamente a Cuore, lo scrittore ligure-piemontese scriveva Il romanzo di un maestro, edito solo nel 1890. La dura storia del maestro Emilio Ratti, piccolo borghese condannato alla precarietà e alla frustrazione, è ben diversa da quella che esce dal diario di Enrico Bottini. De Amicis sembra avvicinarsi sempre più ad un’ideologia socialista, che a Torino trovava nella scuola positivista importanti e significativi agganci [64]. Nel 1891, convinto da Filippo Turati, aderì infatti al socialismo, sposandone cosapevolmente i motivi ideologici e sociali delle sue battaglie. L’anno successivo pubblicava il volume Fra scuola e casa, raccolta di sei racconti, tra cui: Il libraio dei ragazzi, Amore e ginnastica, provvidenzialmente strappato alla dimenticanza da Italo Calvino [65], e La maestrina degli operai, recentemente ripubblicato da De Rienzo [66].
      Ai vecchi temi patriottici si affiancavano l’erotismo della maestra Pedani, l’insegnamento della maestra Varetti nel sobborgo operaio di Sant’Antonio a Torino e la condanna politica e morale dei vuoti valori dell’Italia umbertina.
      All’indomani del fallito colpo di stato del presidente del consiglio Di Rudinì, che chiese a Umberto I di sciogliere il parlamento (giugno 1898), e delle successive leggi liberticide del governo guidato dal generale Pelloux [67], De Amicis, nel 1899, pubblicò le Memorie, La Carrozza di tutti - bel romanzo corale che si svolge in una carrozza di un tram a cavalli, per la durata di un anno di fatto - e la raccolta di conferenze, scritti d’occasione e frammenti Vita popolare (Lotte civili), un’antitesi di Vita militare, la cui edizione definitiva peraltro uscì nel 1910. Senza rinnegare quindi il suo amor di patria, De Amicis, socialista ma lucido avversario dell’anarchia, si faceva interprete di una vivacissima contestazione nei confronti dell’Italia crispina, messa in ginocchio dalle disfatte coloniali e dalla corruzione imperante. Frattanto la sua vita familiare riceve tre durissimi colpi: nel ‘97 si uccide il primogenito Furio, muore l’amatissima madre, si separa dalla moglie Teresa Boassi [68].
      In quell’anno pubblicò tre scritti sull’America meridionale (Quadri della Pampa, I nostri contadini in America e Nella baia di Rio de Janeiro) nel volume In America (Roma, Voghera) [69] e Gli azzurri e i rossi (Torino, Casanova), opera meritevole d’attenzione dedicata al gioco del calcio, di cui De Amicis fu appassionato tifoso: il testo riapparve in Pagine allegre nel 1906.
      Nei primi anni Novanta lavorò al romanzo socialista Primo Maggio, ma rinunciò a stamparlo una volta finito; il testo è stato edito solo nel 1980, suscitando vivaci polemiche e discussioni [70]. Sebastiano Timpanaro, convinto di un’adesione scientifica e non sentimentale al socialismo da parte di De Amicis, ha sostenuto con estrema tensione che:

[...] nel Primo Maggio c’è la ferma convinzione dell’esaurimento della funzione storica della borghesia, e dell’avvento del Quarto Stato[...] [71].

      La drammatica storia dell’insegnante Alberto Bianchini, protagonista del romanzo, che da borghese, attraverso un doloroso quanto tormentato cammino, passa alla causa e agli ideali della classe operaia, pagando prima con gravi sacrifici e poi con la morte questa sua scelta, riflette certamente momenti autobiografici della vita dell’autore.
      Nel 1905 De Amicis pubblicò il libro didascalico L’idioma gentile, garbata ripresa del suo giovanile manzonismo e delle questioni linguistiche affrontate nel salotto fiorentino di Ubaldino ed Emilia Peruzzi: fu questo il suo ultimo lavoro organico. Benedetto Croce fu polemico recensore dell’opera ma De Amicis, nella seconda edizione del libro, apparsa nel 1906, replicò seccamente alle critiche crociane [72].
      Nei suoi ultimi anni, pur rimanendo vicino alla dottrina socialista, non smise di pubblicare racconti ancora graditi ai lettori al suo vasto e antico pubblico e "continuò a consentire la ristampa anche di vecchi libri che aveva rinnegato, anche di Cuore" [73].
      Dopo la sua morte, Emilio Treves pubblicò, tra il 1908 e il 1910, i tre interessanti volumi delle Ultime pagine (I. Nuovi ritratti letterari e artistici; II. Nuovi racconti e bozzetti; III. Cinematografo cerebrale) mentre l’editore catanese Niccolò Giannotta stampò i Ricordi di un viaggio in Sicilia (1908), scritti da De Amicis dopo un soggiorno nell’isola, in compagnìa del figlio Ugo, nel novembre 1906 [74].
      Da buon letterato piemontese, così come Cagna e Giacosa, De Amicis ebbe anche un culto per l’alpinismo [75]: il libro Nel regno del Cervino (1904) è il frutto della sua cauta passione per la montagna, scoperta dopo il suicidio del figlio Furio e la separazione dalla moglie [76]. Nel libro lo scrittore ci ha lasciato una descrizione precisa della sua operosa "officina" torinese in Pietro Micca 10 e della sua biblioteca ordinata "per colore" [77].
      Dalla pubblicazione del Giannetto erano trascorsi settant’anni e la società italiana si era profondamente modificata in tutte le sue fibre. I processi di secolarizzazione, pur tra contraddizioni e semplicistici assorbimenti, avevano mutato anche la letteratura per l’infanzia, orientandola verso percorsi definitivamente novecenteschi.
      Della folta pattuglia di scrittori ottocenteschi impegnati in una intensa opera letteraria rivolta al mondo dei piccoli conservavano considerazione e vendite solo Carlo Collodi e Edmondo De Amicis, originali quanto imprendibili inventori di scrittura, letti ed amati perché non vietati agli adulti.

Note

  1. Su protagonisti e opere della letteratura per ragazzi vedi indicazioni e profili in: M. TIBALDI CHIESA, Letteratura infantile, Milano, Garzanti, 1944; V. BATTISTELLI, Il libro del fanciullo, Firenze, La Nuova Italia, 1948; L. SANTUCCI, La letteratura infantile, Firenze, Barbera, 1950; G. FANCIULLI, Scrittori e libri per l’infanzia, Torino, SEI, 1960; A. LUGLI, Storia della letteratura per l’infanzia, Firenze, Sansoni, 1960; M. VALERI - E. MONACCI, Storia della letteratura per fanciulli, Bologna, Malipiero, 1961; L. SACCHETTI, Storia della letteratura per ragazzi, Firenze, Le Monnier, 1962. Una lettura critica moderna delle opere e degli autori per l’infanzia vedi in P.BOERO-C.DE LUCA, La letteratura per l’infanzia, Roma-Bari, Laterza, 19962.

  2. C. RIDOLFI, Società per le scuole d’insegnamento reciproco di Firenze, in "Giornale agrario", 1835, p.294. Indicazioni storiche e suggerimenti bibliografici sulle iniziative del gruppo Vieusseux - Capponi vedi in E. SESTAN, La Firenze di Viusseux e di Capponi, a cura di Giovanni Spadolini, Firenze, Olschki, 1986. Analisi sull’ideologia di questi intellettuali cfr. in U. CARPI, Letteratura e società nella Toscana del Risorgimento. Gli intellettuali dell’"Antologia", Bari, De Donato, 1974 e nel polemico testo di S. TIMPANARO, Sui moderati toscani e su certo neomoderatismo, in Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS, 1982, pp. 49-96. Notizie ancora utili conservano il vecchio libro di P. PRUNAS, L’Antologia di Gian Pietro Vieusseux. Storia di una rivista italiana, Roma-Milano, Dante Alighieri,1906 e lo studio di R. CIAMPINI, Gian Piero Vieusseux. I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, Torino, Einaudi, 1953.

  3. Cfr. R. CIAMPINI, Due campagnoli dell’800: Lambruschini e Ridolfi, Firenze, Sansoni, 1947. Naturalmente resta utile consultare l’opera di G. GENTILE, Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo XIX, Firenze, Sansoni, 19733, pp.29-53 e sgg.

  4. Cfr. S. TIMPANARO, Le idee di Pietro Giordani, in Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi. 19772, pp. 106 e sgg.

  5. Cfr. F. DE SANCTIS, La letteratura italiana nel secolo XIX, vol. II, La scuola liberale e la scuola democratica, a cura di Franco Catalano, Bari, Laterza, 1953, pp.194-221. Riferimenti ai libri per la gioventù di Balbo e Cantù vedi in G. MAZZONI, L’Ottocento, parte seconda, a cura di Aldo Vallone, Milano, Vallardi, 19566, pp.1162 e sgg.

  6. Cfr. g. carducci, Levia gravia, in Poesie 1850-1900, Bologna, Zanichelli, 193520, pp.293-95.

  7. Cfr. R. P. COPPINI, Il Granducato di Toscana, tomo 3, Dagli "anni francesi" all’Unità, Torino, Utet, 1997. Per quanto riguarda la situazione nel Regno delle Due Sicilie cfr. A. ZAZO, L’istruzione pubblica e privata nel Napoletano (1767-1860), Città di Castello, "Il Solco", 1927 nonchè L. RUSSO, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, Roma, Editori Riuniti, 1983. Abbondanti indicazioni bibliografiche vedi in G. OLDRINI, La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1973.

  8. Cfr. U. CARPI, Letteratura e società nella Toscana del Risorgimento, cit., p.297.

  9. Cfr. A. L. PARRAVICINI, Giannetto, opera accresciuta di utili ed importanti cognizioni da Filippo Piccinini, Napoli, Gaetano Nobile, 184111, vol. primo, p. 10.

  10. Cfr. U. CARPI, op. cit., p. 321.

  11. A. L. PARRAVICINI, Giannetto, cit., vol. III, p. 148.

  12. B. CROCE, L’aristocrazia e i giovani, in Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza, 19553, p. 175.

  13. Sull’attività di governo di Depretis vedi R. ROMANELLI, L’età liberale (1861-1900), Bologna, Il Mulino, 1979, pp. 200 e sgg.

  14. Cfr. G. CAROCCI, Giolitti e l’età giolittiana, Torino, Einaudi, 197110, pp. 17-24.

  15. Cfr. L. LODI (Il Saraceno), Vamba, in Giornalisti. Bari, Laterza, 1930, p. 153.

  16. vamba, Ciondolino, illustrato da Carlo Chiostri, Milano, Longanesi, 1985, p.7.

  17. Cfr. M. BARSALI, Luigi Bertelli, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. 9, 1967, pp. 494-99.

  18. Cfr. STO [ SERGIO TOFANO], Qui comincia la sventura del signor Bonaventura, Milano, Madella, 1927 (nuova ed. a cura di Alessandro Tinterri, Milano, Adelphi, 1995).

  19. Vedi l’utile ricostruzione della vicenda in E. BARELLI, Nota biografica e storia del testo, in VAMBA, Il giornalino di Gian Burrasca, Milano, Rizzoli, 19972, pp. 22-36.

  20. Con la solita bizzarra ironia Olindo Guerrini nella sua gustosa Bibliografia per ridere, Roma, Sommaruga, 1883, a proposito di Collodi scriveva: "E’ uno pseudonimo, come tutti sanno, col quale si copre il Lorenzini, censore teatrale presso la prettura di Firenze (davvero?) e scrittore di bei libri pei fanciulli […]" (ivi, pp.51-52).

  21. Cfr. D. MARCHESCHI, Collodi e la linea sterniana della nostra letteratura, in C. COLLODI, Opere, Milano, Mondadori, 1995, pp. XI-LV. Della stessa autrice vedi anche la raccolta di suoi scritti e note nel volume Collodi ritrovato, Pisa, ETS, 1990.

  22. G. SPADOLINI, Collodi, in id., Autunno del Risorgimento, Firenze, Le Monnier, 19743, p.119.

  23. Le tre lettere, datate 14 aprile, 25 aprile e 5-6 maggio 1848, furono edite da Ersilio Michel, Carlo Collodi al campo toscano in Lombardia nel 1848, in "Risorgimento italiano", a. I, n.3, giugno 1908. Ampi stralci delle lettere vedi in R. BERTACCHINI, Il padre di Pinocchio, Milano, Camunia, 1993, pp.13-20.

  24. Cfr, G. CANDELORO, Carlo Collodi nel giornalismo toscano del Risorgimento, in Studi collodiani. Atti del primo convegno internazionale, Pescia, 5-7 ottobre 1974, Pescia, Fondazione Nazionale "Carlo Collodi", 1976, pp. 59 e sgg. Una minuta bibliografia su Lorenzini giornalista vedi nel catalogo della Mostra tenutasi presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze [10 ottobre-30 novembre 1981], Collodi giornalista e scrittore, a cura di Roberto Maini e Piero Scapecchi, Firenze, S.P.E.S., 1981.

  25. Cfr. R. BERTACCHINI, Il padre di Pinocchio, cit., pp. 23-37.

  26. D. MARCHESCHI, Carlo Collodi e la linea sterniana della nostra letteratura, cit., p.XXVI.

  27. Cfr. C. BINI, Scritti editi e postumi reintegrati sui manoscritti originali e notevolmente accresciuti, per cura di Giuseppe Levantini-Pieroni, Firenze, Le Monnier, 1869, pp. 305-350. Nel volume biniano vedi anche lo scritto Lorenzo Sterne, ivi, pp. 165-176, apparso, così come le traduzioni, sull’"Indicatore livornese" nel 1829. Sulla fortuna dell’umorismo sterniano vedi l’ormai antico testo di G. RABIZZANI, Sterne in Italia, riflessi nostrani dell’umorismo sentimentale, Roma, Formiggini, 1920 e la moderna raccolta di saggi apparsi in Effetto Sterne. La narrativa umoristica in Italia da Foscolo a Pirandello, a cura di Giancarlo Mazzacurati, Pisa, Nistri-Lischi, 1990.

  28. N. BERNARDINI, Guida alla stampa periodica italiana, prefazione di Ruggero Bonghi, Lecce, R. Tipografia Editrice Salentina, 1890, p.414. Una raccolta di queste collaborazioni collodiane a strenne, almanacchi e gazzette vedi in C. COLLODI, Cronache dell’Ottocento, a cura di Daniela Marcheschi, Pisa, ETS, 1990.

  29. Cfr. C. COLLODI, Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica, con Nota introduttiva di D. Marcheschi, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1988. Su questo romanzo collodiano vedi E. GUAGNINI, Il "Romanzo in vapore" e la tradizione delle guide e della letteratura di viaggio, in Scrittura dell’uso al tempo del Collodi. Atti del convegno del 3-4 maggio 1990, a cura di Fernando Tempesti, Firenze, La Nuova Italia - Fondazione Nazionale "Carlo Collodi", 1994, pp. 137-156.

  30. C. LORENZINI (COLLODI), I misteri di Firenze (1857), a cura di Fernando Tempesti, Firenze, Salani,1988, p.102.

  31. Cfr. C. COLLODI, Il Sig. Albèri ha ragione!...Dialogo apolegetico, Firenze, Tipografia Galileiana di M. Cellini, s.d. [1859]. Sulle posizioni unitarie del barone Bettino Ricasoli, condivise fermamente da Lorenzini, vedi Ricasoli e il suo tempo. Atti del convegno internazionale di studi ricasoliani (Firenze, 26-28 settembre 1980), a cura di Giovanni Spadolini, Firenze, Olschki, 1981.

  32. D. MARCHESCHI, Per il centenario della morte di Carlo Collodi (1826-1890), in Carlo Lorenzini oltre l’ombra di Collodi, Catalogo della mostra tenuta a Roma, sale del Vittoriano 28 novembre - 18 dicembre 1990, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, p.13.

  33. c. collodi, , Occhi e nasi [I nostri bambini], in Opere, cit., p.296.

  34. A. BORLENGHI, Carlo Collodi, in aa.vv., Narratori dell’Ottocento e del primo Novecento, Letteratura Italiana, Napoli-Milano, Ricciardi, tomo II, pp.6-7.

  35. C. COLLODI, Macchiette, in Opere, cit., p. 5.

  36. Cfr. C. COLLODI, I racconti delle fate, prefazione di Giuseppe Pontiggia, Milano, Adelphi, 1976.

  37. F. DE SANCTIS, La letteratura italiana nel secolo XIX. Scuola liberale - Scuola democratica. Lezioni raccolte da Francesco Torraca e pubblicate con prefazione e note di Benedetto Croce, Napoli, Morano, 1897, p.268 (ora anche in edizione anastatica con Saggio critico e nota di Toni Iermano, Roma, Vecchiarelli editore, 1996).

  38. L. VOLPICELLA, La via di Pinocchio, in Studi collodiani, cit., p.31.

  39. Cfr. G. BIAGI, Il babbo di "Pinocchio", in "La Lettura", marzo 1907 poi in Passatisti, Firenze, La Voce, 1923, pp. 87-114.

  40. E. GARRONI, Pinocchio uno e bino, Bari, Laterza, 1975, p.51.

  41. La disputa è tutta sulla tradizione a stampa dell’opera collodiana, vivente l’autore. Secondo alcuni studiosi Collodi intervenne sul testo de Le avventure di Pinocchio solo fino al passaggio dal racconto edito sul "Giornale dei bambini" alla pubblicazione in volume del 1883. Nelle successive tre edizioni (1886, 1888, 1890) affidò la cura del libro ai correttori di bozze, disinteressandosi del testo. Da questa posizione scaturiscono sia l’edizione critica curata da Amerindo Camilli (Firenze, Sansoni, 1946) che quella dell’appassionato collodiano Fernando Tempesti (Milano, Feltrinelli, 1993). Diversamente, invece, altri ritengono che l’edizione critica debba necessariamente essere ricavata dal confronto variantistico tra le cinque stampe conosciute di Pinocchio. Da questo assunto nasce la recente edizione de Le avventure di Pinocchio, a cura di Ornella Castellani Polidori, Pescia, Fondazione Nazionale "Carlo Collodi", 1983, pubblicata in occasione del centenario della comparsa del capolavoro del Sig. Lorenzini.

  42. Cfr. P. PANCRAZI, Capolavoro scritto per caso, in id., Ragguagli di Parnaso. Dal Carducci agli scrittori d’oggi, a cura di Cesare Galimberti, I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1967, pp.389-393.

  43. b. traversetti, Introduzione a Collodi, Roma-Bari, Laterza, p.98.

  44. Cfr. d. marcheschi, Nota ai testi, in c. collodi, Opere, cit., pp.1059-60.

  45. Per un sintetico inquadramento storico vedi G. CAROCCI, Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, Milano, Feltrinelli, 19773 nonchè cfr. il dibattito storico-letterario contenuto in Società e cultura nell’Italia unita, a cura di Paolo Macry e Antonio Palermo, Napoli, Guida, 1978. Un quadro della cultura post-unitaria vedi in A.ASOR ROSA, La cultura, in Storia d’Italia, vol.IV, Dall’Unità a oggi, Torino, Einaudi, 1975.

  46. R. FEDI, Il romanzo impossibile: De Amicis novelliere, in Cultura letteraria e società civile nell’Italia unita, Pisa, Nistri-Lischi, 1984, pp. 94-95 (vedi l’intero saggio, ivi, pp.94-155).

  47. Cfr. E. DE AMICIS, Vita militare, a cura di Lorenzo Sbragi, Firenze, Vallecchi, 1972, p.322.

  48. Cfr. ancora lo studio di P. ALATRI, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra (1866-1874), Torino, Einaudi,1954.

  49. Cfr. E. GHIDETTI, Una nobile follia: ragioni antimilitaristiche della cultura scapigliata, in "La Rassegna della Letteratura Italiana", gennaio-aprile 1964, pp.85-110.

  50. Cfr. P. DEL NEGRO, De Amicis ‘versus? Tarchetti. Letteratura e militari al tramonto del Risorgimento, in "Il Ponte", a. XXXIII (1977), fasc. 6, pp.653-678 (ora in Esercito, Stato, Società, Bologna, Cappelli, 1979, pp. 125-166). Ulteriori indicazioni vedi in R. FEDI, Il romanzo impossibile: De Amicis novelliere, cit., pp. 100-105.

  51. I. U. TARCHETTI, Una nobile follia,, a cura di Enrico Ghidetti, Firenze, Vallecchi, 1971, pp. 31-32.

  52. Cfr. innanzitutto E. DE AMICIS, Un salotto fiorentino del secolo scorso, Firenze, Barbèra, 1902 nonchè M. VANNUCCI, De Amicis a Firenze. Le lettere dalla Spagna per "La Nazione" di Firenze. L’epistolario De Amicis-Peruzzi, pref. di Giovanni Spadolini, Firenze, Istituto Professionale "Leonardo da Vinci", 1973 e L. TAMBURINI, Confidenze tra signore: lettere inedite di Teresa Busseti a Emilia Peruzzi, in "Studi Piemontesi", a. XXI (1992), n. 2, pp.485-510.

  53. Cfr. R. FEDI, Prima indagine su De Amicis narratore, in Edmondo De Amicis. Atti del convegno nazionale di studi. Imperia, 30 aprile-3 maggio 1981, a cura di Franco Contorbia, Comune di Imperia, Garzanti, 1985, pp.15-39.

  54. b.croce, Edmondo De Amicis, in Letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza, 1914, pp.160-64 (vd. l’intero saggio ivi pp.157-77).

  55. A.GHISLERI, Costantinopoli di Edmondo De Amicis. Studio critico, Milano, Enrico Bignami, 18782, p.75.

  56. Cfr. M. MORETTI, Note sui tardi scritti politici e sociali di Pasquale Villari, I, (1882-1889), in "Schema", Padova, a./, n.1, 1985, p.82 nonchè T.IERMANO, Introduzione, a R. FUCINI, Napoli a occhio nudo, Venosa, Osanna,1997, pp. 8-10.

  57. Cfr. M. MOSSO, I tempi di "Cuore". Vita e lettere di Edmondo De Amicis a Emilio Treves, Milano, Mondadori, 1925.

  58. Cfr. E. DE AMICIS, Poesie, Milano Treves, 190914, pp.165-170.

  59. E. DE AMICIS, Sull’Oceano, prefazione e note di Folco Portinari, Milano, Garzanti, 1996, p. 137. Una riedizione di Sull’Oceano è apparsa anche a cura di Giorgio Bertone, Genova-Ivrea, Hérodote Edizioni, 1983.

  60. L. TAMBURINI, "Cuore" rivisitato, in E. DE AMICIS, Cuore, Torino, Einaudi, 1972, p.XII.

  61. Cfr. P. VILLARI, Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Napoli, Guida, 1979, pp. 141-177. Sul problema della scuola nell’Italia del secondo Ottocento vedi M. RAICICH, Scuola, politica e cultura da De Sanctis a Gentile, Pisa, Nistri-Lischi, 1981 nonchè l’utile ricerca di P. MACRY, La questione scolastica: controllo, conoscenza, consenso (1860-1872), in "Quaderni Storici", 45, 1980, pp. 867-893. Sul rapporto tra De Amicis e la questione della scuola in Italia vedi E. DE AMICIS, Pagine educative, a cura di Renato Bertacchini, Firenze, La Nuova Italia, 1966.

  62. Vedi il bel saggio di Luciano Tamburini, Diario di un diario. L’anno scolastico di "Cuore" nei giornali cittadini, in Cent’anni di "Cuore", Torino, Allemandi, 1986, pp.1-42. Per la sua rilettura critica pacata e distaccata dell’opera deamicisiana vedi anche G. FINZI, Introduzione a E. DE AMICIS, Cuore, Milano, Mondadori,1984, pp.5-21.

  63. Cfr. il minuzioso studio di L. TAMBURNI, Cuore rivisitato, in E. DE AMICIS, Cuore, cit.

  64. Cfr. l’affettuosa testimonianza di A. GRAF, Come fu socialista Edmondo De Amicis, in "Nuova Antologia", 1 aprile 1908, pp. 392-395 ma soprattuto il testo di L. TAMBURINI, Teresa e Edmondo De Amicis: dramma in un interno, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1990, pp. 29 e sgg. e pp. 93 e sgg. Dall’amico Graf, profondo conoscitore della lingua tedesca, De Amicis si fece tradurre e chiarire il pensiero marxista dei padri del socialismo.

  65. Cfr. I. CALVINO, Amore e ginnastica, nota introduttiva di Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1971, pp.V-VIII. Tra le recenti (ri)scoperte deamicisiane si colloca, fra l’altro, anche la novella Il "Re delle bambole". con una nota di Carlo A. Madrignani, Palermo, Sellerio, 1980. Ottima è stata la scelta di ripubblicare il romanzo La carrozza di tutti, a cura di Luciano Tamburini, Torino, Viglongo, 1980.

  66. Cfr. e. de amicis, La maestrina degli operai, , Cava de’ Tirreni, Avagliano Editore, 1999.

  67. Cfr. U. LEVRA. Il colpo di stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia 1896-1900, Milano, Feltrinelli, 1975 ed anche G. MANACORDA, Il generale Pelloux, in Rivoluzione borghese e socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp.229-320. Interesse documentario conserva ancora il testo di P.VALERA, Le terribili giornate del maggio ‘98, Bari, De Donato, 1973 (la prima ediz. apparve nel 1913).

  68. Cfr. L. TAMBURINI, Teresa e Edmondo De Amicis: dramma in un interno, cit.

  69. Cfr. l’attento lavoro filologico di A. BRAMBILLA, De Amicis. Paragrafi eterodossi, Modena, Mucchi, 1992, pp.123-195.

  70. Cfr. E. DE AMICIS, Primo Maggio, a cura di Giorgio Bertone e Pino Boero, Milano, Garzanti, 1980. Sul romanzo vedi G. BERTONE-P.BOERO, Storia del "Primo Maggio" di De Amicis, Genova, La Quercia, 1980 e il polemico libro di S. TIMPANARO, Il socialismo di Emondo De Amicis. Lettura del "Primo Maggio", Verona, Bertani, 1983.

  71. S. TIMPANARO, op. cit., p. 33.

  72. Sulla serrata polemica Croce-De Amicis vedi E. TOSTO, Una polemica limguistica agli inizi del Novecento: Croce e De Amicis, in "Lingua nostra", a. XXVIII (1967), pp.68-74.

  73. S. TIMPANARO, De Amicis di fronte a Manzoni e Leopardi, in Nuovi studi sul nostro Ottocento, Pisa, Nistri-Lischi, 1994, p. 203 (vedi l’intero scritto, ivi, pp.199-234).

  74. Sui rapporti tra De Amicis e l’editore Giannotta cfr. L. TAMBURINI, Capitali in controluce, in E. DE AMICIS, Le tre capitali. Torino Firenze Roma, Torino, Viglongo, 1997, pp. 7 e ss. Tante notizie sulla vita di De Amicis vedi in L. GIGLI, De Amicis, Torino, Utet, 1962. Un quadro sintetico delle opere e del dibattito sullo scrittore di Oneglia vedi in B. TRAVERSETTI, Introduzione a De Amicis, Roma-Bari, Laterza,1991. Numerosi articoli e saggi sulla vita e le opere di De Amicis sono apparsi finora sia in vari volumi dell’ "Almanacco Piemontese", antologia annuale fondata dall’editore torinese Andrea Viglongo nel 1968, che nella bella rivista di "Studi Piemontesi", rassegna di lettere, storia, arti e varia umanità edita dal Centro studi piemontesi di Torino.

  75. Il rinvio è naturalmente al libro di Achille Giovanni Cagna, Alpinisti ciabattoni[1888], nota introduttiva di Lorenzo Mondo, Nota linguistica di Corrado Grassi, Torino, Einaudi, collana <<Centopagine>> diretta da Italo Calvino, 1972, e alla pregevole raccolta di Giuseppe Giacosa, Novelle e paesi valdostani [1886], a cura di Vanni Bramanti, Firenze, Vallardi, 1971 (in particolare vd. il toccante racconto Storia di Natale Lysbak, ivi, pp.159-93].

  76. Cfr. E. DE AMICIS, Nel regno del Cervino Gli scritti del Giomein, a cura di Pietro Crivellaro, Torino, Vivalda, 1998. Su questa edizione vedi la recensione di Luciano Tamburini in "Studi Piemontesi", vol.XXVII, fasc.1-marzo 1998, pp.189-191. Dello stesso Tamburini, relativamente al rapporto tra De Amicis e il Cervino, vedi: De Amicis dalle Ande al Cervino, in Montagna e Letteratura. Atti del convegno internazionale, Torino, 1982, pp.109-18 e L’alpe mistica di Ugo De Amicis, in Letteratura dell’alpinismo. Atti del convegno, Torino, 1985, pp.49-58.

  77. In quella che definiva la biblioteca rossa - "E’ uno scompartimento sinistro, al quale certi miei amici, che lo conoscono, si scansano di sedere vicino, e lanciano ogni tanto una guardataccia" - De Amicis conservava libri e opuscoli sulla questione sociale (E. DE AMICIS, La mia officina, in Nel regno del Cervino, Milano, Treves, 1907, p.112).