2-3-2017
Carta de Filippo Sassetti de Lisboa, em 10 de Outubro de 1578
XLIV. A Buccio Valori, in Firenze.
Descrive la città di Lisbona, e generalmente i costumi e le buone e ree qualità della nazione portoghese; e tratta ancora del suo commercio nell'Indie.
Molto magnifico et eccellentissimo signor mio. Io dubito di non aver fatto troppo a sicurtà meco medesimo per non avere ancora scritto a V. S., poiché io mi partii da lei. Io giunsi a Siviglia, e per iscriverle aspettava che ne venissero dal nuovo Mondo le navi, acciocché, scrivendolo e raccontandole qualcosa delle novità che sogliono vedersi, io venissi a meno tediarla. Stetti vi pochi giorni, e fummi necessario venire qui, dove io non so quanto io mi starò. Delle cose passate nel viaggio, e dei costumi delle genti non tratterò a V. S., perché in passando non si può giudicare. Solo le dirò che, so io fossi andato attorno per amore, ben potrei, accusandolo, dire: Cercar m'hai fatto diversi paesi, sino a quel mezzo verso Dure genti e costumi, che mi pare a me il proprio di tutte queste ingenerazioni; talché chiunque ci verrà dei nostri, e non sarà armato d'una estrema pazienza, ma sarà veloce nei suoi movimenti, fugga di questo luogo, perché ci morrà di subito. Questa è città grandissima, e la parte principale e maggiore è fuori delle mura; il forte di essa sono tre colli e due vallate, se bene i borghi, che si distendono come razzi, ne abbracciano fino a cinque. Ha la riviera del Tago da Mezzogiorno, ancora che qui ella si possa chiamare per più vero nome un braccio di mare, che è porto grandissimo, dove stanno le migliaia dei legni; e iI palazzo reale è lungo la riviera, ma gli altri abitatori, che stanno in basso, sono tutti mercatanti. Non ha nessuno bello edificio, né alcuna antica memoria ci restò dalla furia dei Mori. Il paese non è ameno, ché i caldi grandi abbruciano ogni cosa. Son ci assai ulivi, ma tanto maltrattati, che chi si trova affezionato a questa pianta, non gli potrà vedere e star cheto; perché il tutto si raccomanda alla natura, e la coltivazione è più bandita di qui di qualunque altra cosa nemica. Gli abitatori di Lisbona saranno come duecentocinquanta mila: questi sono Cristiani vecchi, Cristiani nuovi, e schiavi. I Cristiani vecchi son divisi ne 'fidalghi' e altro popolo minuto, e i Cristiani nuovi sono gli ultimi Giudei, che elessero di rimanere qui, e battezzarsi: sono gente poco meglio che infame, cattivi, perfidi, senza fede, senza onore o cosa che buona sia, se non uno intendimento sottilissimo, che, congiunto alle sopra dette qualità, fa una composizione, che chi ha a trattare con essi loro e non vi lascia del suo, è uomo che si può mandare per tutto, e dargli, come si dice, la briglia sul collo. I Cristiani vecchi per lo contrario sono gente che sa poco, e molto superba, e tanto di loro testa, che il rimuoverli della opinione loro e l'impossibile sono une medesime cose. Tutto sanno loro, e tutto fanno loro, e da loro dipende ogni cosa, e la loro terra è la meglio del mondo, e si pongono a provarlo con l'induzione. Sono loquaci, e gente vana; e se egli assennano uno, bisogna far conto di fare la parte degli ascoltanti; e tre quarti delle parole consistono in V. M., e in giuramenti, che non credo che si trovi dove più si giuri. Giurano per los Sanctos Evangelios, e, quando vogliono aggrandire e procacciarsi più fede, arrògeno y mas por estas barbas, o por esto rostro; e toccansi la barba o il viso, non senza muovere chi gli vede a riso. Gli schiavi nella diversità loro agguagliano tutte quelle genti, che, sentendo favellare gli apostoli ciascuno in suo linguaggio, si stupivano; e al credere mio saranno la quinta parte delle genti che ci sono; e tutti vivono di vettovaglia portataci per mare, o la maggior parte: ché il paese è sterile, e non colto; e per questo vengono qui navili infiniti, trecento per volta di quella di Danismarca, di Ostarlant, d'Olanda e tutta la Fiandra, d'Inghilterra e tutta la costa di Brettagna e di Francia; e ci portano d'ogni cosa fino all'uova e alle galline, e dei danari sopra questo, e portanne spezierie: e dei paesi nostri ancora ci vengono delle vettovaglie, grani talvolta di costà, vini e oli di Provenza e di tutta la costa di Spagna; e tutto ci ha presta e buona spedizione, secondo la qualità delle cose, o la disposizione della terra. Di carne ci è sottosopra mancamento, ché d'ogni tempo ci si ammazzano vacche molto dure, e pochi castrati; a che ha sovvenuto l'innumerabile quantità di pesci, che ci si pigliano e ci si consumano, ché io ogni via e in ogni casa è bottega che cuoce e vende pesce ogni giorno e ogni ora; talmente che per l'odore cattivo del frittume è una noia grandissima l'andare attorno.
Il traffico dei Portoghesi è al Capoverde e quelle isole quivi vicine; più basso alla Mina di Sangiorgio, e tutta questa costa d'Africa, che guarda il Ponente; all'isola di Santommé, e a quella costa del Mondo nuovo, che loro chiamano il Verzino. Di là dal Capo Buonasperanza fanno scala a Mozambiquo, e poi se ne vanno in India; e di quivi, cioè dalla prima costa d'India, dove è Calicut e Goa, vanno a Malaca, che dicono essere l'antica Aurea Chersoneso, alla China e al Giapan, e prima a Malucco: e nella costa d'Africa di Ponente, che sono Capoverde e la Mina, portano principalmente di quelle tele che vengono d'India in quantità grande, e di quelle che vengono di Roano; ottoni lavorati di ogni sorte, e massime collane, e certe maniglie e anelli, che quei Neri si pongono al naso e agli orecchi, e molti paternostri di vetro, che ne fanno vezzi e collane, e una certa sorte di paternostri rossi, che vengono dell'India a carrate. A Santommé non portano se non le cose necessario per vitto; ché, trattone i Portoghesi, non vi sono altri che schiavi; e nel Verzino conducono d'ogni sorte cosa; grasce, panni, drappi, mercerie, come specchi, sonagli e altre sì fatte: e in India portano di tutto tambene, vino, olio, drappi e panni ma pochi; fogli, vetri, coralli e reali. E cose che riportano in qua, sono queste: del Capoverde cuoia, cotoni, zuccheri; della Mina oro perfetto e zibetto, ché quest'anno, che i Portoghesi sono in guerra con quelli del paese, in due legni sono venuti da duecentomila ducati in barrette d'oro: di Santommé vengono quelli zuccheri che si raffinano, chiamati da noi zuccheri rossi, in numero di sette milioni seicento mila delle nostre libbre, e ogni trentasette valgono circa a un ducato e tre quarti. Del Verzino vengono altrettanti zuccheri, la maggior parte bianchi, che valgono qui le libbre quarantatré circa di ducati quattro. In questo paese si ritrova Filippo Cavalcanti, fratello di Guido e di Stiatta, il quale ha grandissime faccende alle mani, ed è uomo di grande autorità, e quasi soprastante a tutto, infino al proprio governatore. Dicono che tiene gran corte con molti paggi e cavalli, e spende l'anno in sua casa meglio di scudi cinquemila; ed i suoi negozi sono ingegni di zuccheri. Quivi sono, per quanto io intendo, mostri stupendi d'animali bruti; e un piloto d'una nave, venutone quest'anno, ha portato la pelle d'un serpente, sul quale, pensando di porre il piede sopra un sasso, scavalcava, che è largo sul dosso quattro piedi, e lungo trentaquattro o trentacinque; il quale dice che mangiava una pantera, e mangiava anche lui, se non lo soccorrevano. Ha ancora portato il cuoio d’uno animale della grandezza della lontra, ma coperto di squame durissime; ha la testa di testuggine, gambe di coccodrillo, e la scaglia della schiena si raccoglie come fa la parte di sopra delle manopole di ferro o i cosciali d'un'armatura; e la coda è della medesima materia, e viene giù distinta a nodo a nodo fino a che ella viene sottilissima. Dice questo medesimo, che in Fernambuch, terra del Verzino, è un mostro scorticato, e pieno di paglia, preso non sono molti anni, che è quasi la Scilla. Ha testa e collo di cane, spalle, braccia e mani di figura umana, petto e ventre di pesce, o piedi d'oca. E altre cose infinite vi sono, delle quali non si pigliano cura costoro di dare notizia al mondo. Del Mozambiquo portano in India schiavi e molto avorio; e d'India recano tutte le cose preziose che noi conosciamo; le spezierie, parte delle quali fanno in quella costa, come il pepe, la cannella ed il zénzero; altre vi sono portate, come le noci moscate e il macis, che vengono pure di terra ferma, e i grofani che vengono dal Malucco (dove i Portoghesi non arrivano più, perché un capitano fece senza proposito pigliare un re loro, e tagliargli la testa, e quelle genti fecero loro cantare il Vespro Ciciliane); tutte le sorte di pietre preziose che noi conosciamo, salvo che non ho veduto turchine. Véngonne infinite sorti di tela di bambagia, e alcune d'erba, tanto fini e sottili, che senza vederle non si potrebbe credere; e queste son quelle che passano dipoi in Barberìa e per tutta l'Africa. Vengono veli assai di seta, e molti di quelli drappi che noi chiamiamo zendadi, dei ciambellotti con seta sottilissima e bianca, e cose lavorate, come coltre imbottite, nelle quali si troverà da spendere fino cento venti e cento cinquanta scudi nell'una. Vidi in casa un piloto d'India un manto per a collo per una donna, di tela bianca, imbottito di seta gialla, dove io credo che fossero cento mila milioni di punti: cosa vaghissima da vedere, della quale domandava fino a 240 ducati. Vengono di là legnami da letti, che loro domandano catri, dipinti di diversi colori, e tali miniati d'oro di gentilissimi compassi; e in luogo di saccone tengono cigne, con le quali attraversano ed empiono tutto, e in quei paesi pongono una stuoia sopravi, e dormonvisi; qua vi mettono le materasse. Le madreperle e altre fantasie di mare, che loro conducono di là, non hanno numero, e son tutte cose che ingombrano molti denari. Aveva lasciato il musco e I’ambra, la quale vogliono in fatto che esca del fondo del mare, e sia una specie di terra non altrimenti che si sia il bitume o iI cinabro, o altra cosa. Viene qui l'anile, o vero indaco, la lacca per tingere, che sono cacature di formiche, e in certi cannelli quella dura da suggellare. Le porcellane non sono da lasciarsi, delle quali credo che ci siano venute quest'anno duecento tinelli, e tutte hanno preso luogo, che adesso non si troverebbe da comperarne che fossero buone: valgono ragguagliatamente un quarto di ducato il pezzo dei piccoli; ed i grandi poi uno, due, tre e quattro ducati l'uno.
Restami a dire degli schiavi, che da tutte queste parti ci sono condotti, salvo che del Verzino, i quali saranno più di tre mila. Del Verzino non ce ne conducono, perché loro sono gente cattiva e ostinata, e come si vedono schiavi, si deliberano di morirsi, e viene loro fatto. Di altri luoghi ci vengono li Giaponi, gente olivastra e che esercitano qui ogni arte con buon intendimento; piccolo viso, e nel resto di statura ragionevole. I Chini sono uomini di grande intelletto, e parimente esercitano tutte le arti, e sopra tutto imparano meravigliosamente la cucina: hanno il viso rincagnato, gli occhi piccoli, come se fossero forati con un fuso, e a tutti (che mi pare la loro propria differenza) il copertoio dell'occhio ricopre quella particella dove sono appiccate le palpebre, talché mancano d'essa alla vista, che gli fa difformi e conoscibili tra tutti gli altri. Il colore loro è tra giallo e tanè. D'India vengono due sorti d’ingenerazioni: i Mori Maomettani ed i Neri, che sono Gentili. I Mori sono propriamente ghezzi, che è tra il zingano e il nero, gente di tanto intelletto, che nessuna più; e nella vivezza degli occhi si conosce il loro ingegno, ma hanno per lo più mala inclinazione, ché sono ladri finissimi, e chi ne ha uno che sia buono, ha un gran servizio di lui. Ed i Neri Gentili sono talmente neri, che non è tanto tinto l'inchiostro; sono di bassa statura, e forti, e per travagliare in cose di fatica. Questi sono condotti in India, parte del Mozambiquo, e parte dei luoghi vicini all'India, più propinqui all'Equinoziale. Di Santommé vengono una gran turma di Neri portativi di tutta la costa d'Africa, dal Capoverde sino a quel parallelo. Sono questi medesimamente gente più da fatica che d'intelletto; e quelli che ci vengono dal Capoverde, di tutti i Neri sono i più gentili, e con facilità imparano tutto quello che vedono fare, fino a sonar il liuto; e sopra tutto tengono bene le arme in mano, e di loro si ha buono servizio, trattone che sono un poco superbi, che è vizio di tutti i Neri, e ce n’è il proverbio: egli ha più fantasia che un Nero. È miseria il vedere come sono qua condotti, ché sopra una nave ne saranno venticinque, trenta e quaranta, e tutti stanno qui sopra coverta ignudi, addosso l'uno all'altro; e sopra tutto si accostumano molto astinenti, che sino a qua danno loro da mangiare del medesimo di che vivono nella terra loro, che sono certe barbe come quelle del giaggiuolo, che crude e cotte, chi non lo sapesse, le giudicherebbe castagne. Smontati in terra, stanno a una solicandola a turme, e chi ne vuoi comperare va, quivi, e guarda loro la bocca, fa distendere e raccorre le braccia, chinarsi, correre e saltare, e lutti gli altri movimenti e gesti, che può fare un sano, che, considerando in loro la natura comune, non può essere che non se ne pigli spavento; e il prezzo loro è da 30 fino a 60 ducati ciascuno. Non mi pare da lasciare di contare a V. S. quello che mi fece restare attonito, considerando la miseria loro e la inumanità del padrone. Sopra una piazza erano in terra forse cinquanta di questi animali, che facevano di loro un cerchio: i piedi erano la circonferenza, e il capo il centro: erano l'uno sopra l'altro, e tutti facevano forza d'andare a terra. Io m'accostai per vedere che gioco fosse questo, e vedo in terra un grande catino di legno, dove era stata dell'acqua, e quei miseri stavano, e si sforzavano di succiare i centellini e leccare l'orlo; e da loro, sì nell'azione come nel colore, a un branco di porci che si azzuffino per ficcar la testa nel brodo, non era nessuna differenza. Mi sono condotto all'ultimo della lettera con questa storiella di poco gusto, forse contro alle regole, le quali non si possono sempre osservare; e là dove non si tratta di creanza, ma di considerare la natura delle cose, non si disconviene; e, se mal non mi si ricorda, Platone dice che non si ha da lasciare indietro né la natura del loto eziandio, ancora che io so che a V. S. non occorrerà questa scusa. Di tutte le cose che vengono d'India, molte mi si rappresentavano degne d'essere vedute da V. S.; ma l'essersi dileguate da me certe comodità che a ciò si ricercano, ha fatto che io manchi all'obbligo e desiderio mio. Vengono qui molte conserve con zucchero, pepe, noci moscate, macis, mirabolani, e altre cose assai: e tra tutte queste la più gentile a me è panila l’acqua di cannella, della quale scrive un dottore quello che V. S. vedrà. Honne preso una barza di terra coperta con fune, la quale terrà da quattro o cinque fiaschi, e ben turata l'ho messa su una nave, che per partirsi non aspetta altro che il tempo. Holla indirizzata a Pisa a messer Michele Salarini, dal quale, se ella verrà salva sarà mandata a V. S.; e, quando segua, desidero che ella ne faccia quattro parti, che l'una sia per lei, l'altra per il signor Piero Vettori, l'altra per il reverendissimo Don Vincenzio, e l'altra per il mio messer Bernardo Davanzati; coi quali tutti vorrei che V. S. mi scusasse del silenzio, e col signor Priore principalmente, col quale, partendomi, feci troppo a sicurtà. Francesco Valori, quando io mi partii di costì, secondo me, mi messe a uscita, ché di lui non ho mai sentito nulla, né di Pagolantonio a ancora. Quando vengono da V. S., piacciale raccomandarmi loro, e sopra tutto tenermi in sua memoria, che è quanto mi occorre per questa; e Nostro Signore la contenti e guardi. Di Lisbona, agli 10 d'ottobre 1578.
XLV.
A Francesco Bonciani, in Firenze.
.............................................................................................................................................................................................................................................................
Speditomi dei casi d'altri, me ne vengo ai miei; e se bene io vi potrei dire in una parola che vanno poco differentemente da quello che sogliono, procacciando materia di starmi quel più con esso voi, vi dirò (se bene voi ve lo sapete) che io me ne venni qui per far bene, come dicono qua, e fino a ora non mi è succeduto più che tanto, perché dovunque vado io, si congiungono, venendovi da tutti i quattro punti cardinali, tutti i finimondi. El re mori; perdessi l'esercito; mutossi nuovo stato, nuove condizioni; alterazione d'ogni negozio; svanimento d'ogni disegno. Non si guadagnò, e dove si aveva speranza di profitto, vi successe manifesta perdita. Cose sono le mie, come voi sapete, senza rimedio; e a tutte queste s'aggiunge poi la solitudine e nessuna conversazione con chi tu possa discrederti, dolerti e rallegrarti: che se non fosse stato Plauto e un poco di storiaccia di queste navigazioni e discoprimenti orientali, e sopra questo l'andare a ora a ora a vedere che ora egli è, mettendo in uso il mio astrolabio e di giorno e di notte, io me n'ero a quest'ora venuto in lettera da voi. Avevami dato speranza d'alleggiamento al fatto della conversazione Orazio Neretti, e vassi apparecchiando cosa per partirci: tutto sia con bene. Voi potete considerare da questo se la stanza mi ci diletti, o se pure io terrei a stare, se non in Valdelsa, almeno in qualche altro luogo che per il mancamento d'infinite cose noievoli se le rassomigliasse: e con tutto ciò, questo è il più bel sito, a giudizio mio, che sia in Europa; e se si dicesse nel mondo, non crederei gran fatto lontanarmi dal vero. E se io mi ricordassi adesso dei luoghi, dai quali voi volete che le città si lodino, io credo per certo che pochi se ne lascerebbero, dai quali Lisbona non si potesse lodare: che se bene i suoi abitatori sono una mistura da non ritrovarne l'origine così tosto, non è che ella non fosse piantata o in qualche modo accresciuta e nobilitata dai Greci, e col nome del più savio marcata; ma lasciando questa parte che ha seco congiunta qualche vanità, e venendo alle cose di sostanza, come è la temperie del cielo che ella gode, questa non può essere in nessun'altra migliore, poiché nel cuore del verno si colgono qui quelle frutte che ci sono costà di ricreamento la state: qui sempre le rose ed il fior d'aranci e gli altri fiori odori feri; né la state, ancora che il clima lo ricercasse, si sente gran caldo per chi non lo cerca, però che entrando la marea, sempre, spira un ponente, fresco alle volte tanto, che non ostante che egli abbia congiunto al diletto il non essere nocivo, bisogna pure guardarsene talora. Il dirvi sopra quanti colli ella sia posta non mi verrebbe fatto, perché sebbene le valli principali che ella occupa sono tre, i colli sono più di dieci o dodici, e non sono mica di quelli che in cocchio o carretta possa salirvisi: anzi ci ha strade tanto repenti, che i fidalghi, non comportando la vanità loro che vi vadano a piede, per non vi potere andare i cavalli, non vi passano mai; e dall'essere sita in costa, e tanto alta, deriva questo bene, che una parte delle case, e la maggiore, scoprono il Rio pieno di navi e di legni, e fino taluna alla marina, che maggior diletto non si potrebbe chiedere, potendosi stare alla finestra e vedere quelle tante e sì nuove cose immaginate dal nostro Petrarca. El paese che ella ha dintorno si mostra sterile, mercé degli agricoltori, i quali con il poco sapere loro hanno congiunta superbia tanta, che luogo non ci ha il mostrare quello che converrebbe: ma ciascuno leggermente comprenderà che quel paese che dà ogni quattro anni tanto olio che ce n’è per tutto questo tempo da mangiare e da navigare le migliaia delle botte, e dà anco tanto vino quanto bisogna per bere qui, nel Brasil, in India, e ne dà alla Fiandra e all'Inghilterra; darebbe bene anco tanto grano quanto vorrebbe questa gente infinita che ci abita, ancora che ella fosse due volte tanta, e tanto mangiasse ciascuno, che egli scoppiasse. Ma loro non vogliono lavorare, e, ch'è più, l'infelice pianta dell'ulivo che qui si mette a fiorire due volte l'anno, e condurrebbe il frutto, mi credo io, è ridotto da questi sciagurati di maniera, che ogni quattro anni una volta, e a gran pena, può condurre l'olive a perfezione. Egli mazzicano con certi abetelli come le vostre pertiche da ragna, volendo corre le olive, di maniera tale, che la vermena più gentile che rimanga loro addosso, sono i rami che escono del tronco, dico i principali; e con tutto questo, da vederne uno a vedere poi la macchia della vigna, appunto dove è la callaia quando l'uva imbruna, non vi è differenza veruna. Buono è che il nostro messer Piero non arrivi in questi paesi, ché ella li parrebbe, a credere mio, una cosa molto indiscreta.
Vedete dalle lodi di Lisbona dove mi ha guidato la penna. Se la sterilità del paese fosse naturale, che non è, la bontà del porto avrebbe a tutto rimediato; poiché qui vengono insino dal mare diacciato le vettovaglie che la sostentano, cominciando da quei porti sopra alla Pollonia, per molte centinaia e migliaia di leghe, a venire segale e altre biade, grani, caci, burri, pesci salati, carne salata; e di Fiandra e di Brettagna le uova e le galline, il gallo ed i capponi; e vendensi a stia a stia. A che dunque strignerne la propria terra? Perché tanta fatica? se le cose necessarie le son date dal sito e dal porto del più bel fiume che sia, a credere mio, in tutta Europa: poi che qui si vedono venire in tempo 100, 150, 200 e 300 legni carichi; ed i medesimi lasciare le lor mercanzie, e indi a poco andarsene via e portarsene seco di quelle che a ciascuno fa di mestieri, secondo la diversità che richiede il paese. Quelli di quei paesi freddi ci recano vettovaglia e legname: portano spezierie, vino, olio, denari e altre cose, secondo le necessità loro. Ed i Fiamminghi ci conducono pannine, e portano le cose medesime. Di Francia ci vengono vettovaglie, cominciando dalla Piccardia fino alla Guascogna, e per lo più non portano altro che danari, se non se qualche zuccheri. Le pannine che vengono qui oltre al consumo della terra, che non ha artifizio né di lana né di seta o di cosa buona, vanno in India, nel Brasil, nella costa d'Africa che guarda il mezzo giorno, in quella che volta a ponente dove è la Mina, dalla quale si reca l'oro e degli schiavi. Delle altre parti ci si conducono tutte le migliori e più necessario cose che chiegga la natura umana, come sono le spezierie i zuccheri e altre si fatte mercanzie, senza le quali ci siamo avvezzi a non poter fare: e quelle che sono le meno utili, sono le gioie che importano somma infinita. Conduconcisi tali volte, ma poche, delle novità stravaganti, e perciò dilettevoli, come animali e altre cose criate dalla natura; e ora ci si trova la Bada, altrimenti Banda, dagli antichi detta Rinoceronte, ancora che in Persia ella ritiene il nome antico. La quale è una bestia tanto contraffatta e tanto nuova e cosi fuori della immaginazione di chi non l'ha veduta, che concetto malvolentieri potrebbe farsene. E andando pure vedendo a quello che io potessi agguagliarvela, dopo molto pensare mi risolvo che ella somiglierebbe madonna Laura, se ella fosse viva, perché ciascuno di loro ha questo, che lui somiglia se stesso e non altri. E perché talora ogni cosa mi rincresce, non sono poche le volte che io vo a starmi seco, e per l'anima di quattro mele li fo fare cento giuochi; e a vedere scherzar questa bestia è come vedere scherzar monte Cecero o qualcuno altro dei colli qui vicino a Firenze: cosi è piccinina. E se io potrò una volta addomesticarmi più seco, io intendo di ragionarvene più a lungo, perché il Nero che la governa (se bene ella ne ammazzò uno con calci, non ha molti giorni) favella seco come voi favellate con la vostra vecchia serva. E il peggio è, che ella intende e obbedisce; ma ci sono centomila altre cose, delle quali a suo tempo.
……………………………………………………………………………
Di Lisbona, al dì 19 di febbraio 1579.
De: “Lettere edite e inedite di Filippo Sassetti, raccolte e annotate da Ettore Marcucci”, Felice Le Monnier, Firenze, 1855.